Essere entangled con i propri fumetti – Una nuova frontiera per il cosplay?

Domenica 7 Aprile, quindi esattamente un mese fa, stavo sfogliando il mensile “Le Scienze” fresco di stampa.

La mia attenzione fu subito catturata dall’articolo Azione inquietante di Hanson e Shalm. In introduzione i due autori annunciavano mirabilia: promettevano di chiarire come si è giunti alla conclusione che le presunte “variabili nascoste” teorizzate da Einstein (1) per spiegare l’altrimenti inspiegabile correlazione (entanglement) tra gli stati di particelle atomiche “gemelle” portate a grande distanza tra loro, non esistono (2).

Come raccontano i due autori, diversi gruppi di ricerca sono riusciti a compiere alcuni esperimenti progettati proprio per aggirare la possibile influenza di ignoti fattori locali che, non visti, potrebbero “rinnovare” la correlazione tra particelle inizialmente vicine, quindi reciprocamente “entangled”, che vengono poi allontanate a distanze tali da non permettere alcuna comunicazione tra loro.

Tali esperimenti hanno dimostrato che la correlazione tra stati entangled (es.: lo spin degli elettroni) continua a persistere anche a grande distanza, mantenendosi pure allorché, durante la fase di allontanamento reciproco delle due particelle, si agisce su una delle due apportando una variazione casuale al suo stato.

57180205_10216088661263282_7064396851667009536_oAnche in questo caso, quindi, la seconda particella, oramai troppo distante dalla prima per poter essere raggiunta in breve tempo da un segnale luminoso che l’avverta della variazione avvenuta nello stato della sua gemella, dimostra di “accorgersi” subito che qualcosa è mutato, riadattando la propria configurazione così da farla risultare nuovamente correlata con quella della prima.

Insomma, la meccanica quantistica esibisce ancora una volta il suo carattere decisamente controintuitivo, dimostrando di farsi beffe della nostra idea di realtà e ravvivando l’alone di mistero che la circonda mediante la persistenza di questo paradosso che ricorda un altro ben più famoso: quello cosiddetto “dei due gemelli” della teoria della relatività.

Una similitudine che mi spinge ad “appuntarmi mentalmente” questo riguardante non più persone, ma elementi dell’atomo come “il paradosso delle due particelle gemelle”.

Senza entrare nei particolari della teoria (3) che a grandi, grandissime linee mi era già nota, tra i vari aspetti per me rilevanti dell’articolo citato vi era il fatto che dopo le prime due pagine, il sunto di quanto raccontato nel testo fosse affidato a due facciate occupate da un ibrido: un interessante incrocio tra un fumetto autoconclusivo e una infografica creato da Matthew Twomby su testo di Michel Van Ball.

A mio parere, si tratta di un’opera dal grande valore comunicativo, capace di fornire un  aiuto fondamentale alla comprensione dell’articolo dal quale è tratto.

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E ora passiamo a dire di un altro entanglement: il 3 Aprile scorso, in un suo articolo pubblicato su Media INAF, la collega Francesca Aloisio citò la presenza di due mie tavole (4) tra le opere che a partire dall’8 Aprile sarebbero state esposte nella mostra “La scienza tra le nuvole”.

L’ esposizione, inserita nel cartellone del festival della Scienza capitolino, sarebbe stata visitabile presso il Parco della Musica e Davide Coero Borga, il suo curatore, il 5 pubblicò sempre su Media INAF un pezzo nel quale ancora una volta venivo menzionato come raro caso di scienziato-artista lì presente con le sue opere (pare ce ne fosse anche un altro, tale Stefano Bortolotti dell’Istituto Italiano di Tecnologia).

Sapevo già da mesi del progetto di allestire questa mostra in quanto Stefano Sandrelli, coordinatore nazionale delle attività 56696890_10216088655303133_4103841045169569792_odivulgative dell’INAF, mi aveva invitato con un certo anticipo a proporre alcune mie tavole in vista di quell’occasione. I numerosi eventi intercorsi tra quella prima convocazione e il festival mi avevano però fatto dimenticare del tutto la cosa e la sorpresa di scoprire che effettivamente due tavole di Squid Zoup fossero lì esposte è stata tanta e, inutile dirlo, decisamente piacevole.

Il presunto entanglement, a parte la circostanza fortuita ma decisamente simpatica di trovare proprio in quei giorni un articolo su “Le Scienze” a spiegare quell’argomento di fisica, è stato quindi sentirsi “finalmente” misurato, a quasi quattrocento chilometri di distanza dalla mia posizione, da tutti coloro i quali vedendo le mie tavole, potete starne certi: hanno misurato i miei stati interiori ancora altamente entangled con quanto quelle due tavole raccontano di me.

Come tutti, anche io “vesto i miei panni” tutti i giorni, e il mio personaggio Squid Zoup fa lo stesso, cristallizando alcuni momenti della mia vita o alcuni miei sogni a occhi aperti.

Per dirla in altro modo, vesto i miei panni, ma anche quelli del mio alter ego in bianco e nero col quale mi identifico sempre. Questo – chissà? – mio malgrado, fa di me un cosplayer davvero convincente…

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Squid Zoup e me

Ovviamente quello cui faccio riferimento è un entanglement blando, praticamente inesistente se non come metafora usata per sottolineare una banale verità: le nostre azioni hanno una grande influenza a distanza, sia di spazio che di tempo, con il risultato di far sapere ad altri  come siamo o come eravamo “mentalmente polarizzati” al momento in cui abbiamo prodotto, detto, fatto qualcosa.

E più le nostre azioni sono precise, più lo sono le “cose” che facciamo e più la decodifica di chi siamo o di chi eravamo al momento dell’emissione del nostro stato mentale concretizzatosi con il nostro prodotto, non lascia spazio a pericolose interpretazioni e revisionismi.

Chissà se gli sviluppi della ricerca in meccanica quantistica riusciranno un giorno a regalare un nuovo significato al concetto di “Storia”…

In questa vicenda entra prepotente un  ricordo: quello che ha a che fare proprio con il problema delle particelle entangled e con il cosiddetto “Teorema di Bell” enunciato nel 1964 dal fisico john Stewart Bell dal quale prende il nome. Un teorema di cui venni a sapere grazie a una pubblicazione del lontanissimo 1991.

51PQ4gareEL._SX378_BO1,204,203,200_Si trattava, appunto, de “Il teorema di Bell“, un bellissimo cartonato della casa editrice Comic Art (numero 72) a opera del fumettista Matthias Schulteiss. Purtroppo in Italia uscì solo il primo numero (pubblicato senza numerazione, quindi fatto passare come episodio autoconclusivo) che ebbe l’effetto di farmi incuriosire moltissimo alle vicende del protagonista Shalby, ma che, in assenza della rete (parlo di un’era pre-internet), non potevo nemmeno sospettare fosse incompleto.

Oggi scopro che vi sono disponibili on-line le altre due puntate, non tradotte, nelle quali immagino che l’importanza del problema fisico citato nel titolo venga finalmente svelata.

Invece all’epoca, dopo averlo letto, mi rimase quel senso di stupore che già connettevo col mondo della meccanica quantistica. Uno stupore che pensavo fosse tutto autocontenuto in quel primo numero.

Oggi, avendo scoperto l’esistenza dello sviluppo ulteriore della storia, il mio stupore è più che altro suscitato dalle scelte editoriali di chi, sapendo che una storia si snoda su tre episodi, decide di pubblicarne solo uno.

L’occasione offerta dall’avere ben due lavori grafici dedicati allo stesso problema fisico ma affrontati con piglio del tutto differente potrebbe essere quella ideale per attuare un raffronto tra il fumetto-infografica comparso su Le Scienze e il cartonato della Comic Art, ma non so se, non conoscendo il contenuto degli altri due episodi, io stia agendo correttamente.

Da un punto di vista divulgativo, la diversa lunghezza delle due pubblicazioni dovrebbe avvantaggiare Il teorema di Bell di Shulteiss: a parte il caso in cui un autore dimostra di saper lavorare meglio in spazi ristretti, esibendo così una grande capacità di sintesi (o una certa incapacità di lavorare a lungo su uno stesso soggetto…), un maggiore spazio per “spiegare” un certo argomento immagino fornisca innegabili vantaggi.

In ogni caso, si tratta di due prodotti diversi, creati in periodi diversi con intenti diversi e dedicati a lettori diversi. Questo già basta a distruggere l’ipotesi di un possibile confronto tra le due opere che ora appare come una operazione impossibile, oltreché illogica.

Da un lato abbiamo un maestro del fumetto che, spinto dalla fascinazione subita per un problema fisico, ha agito in totale solitudine, creando quindi sia la parte testuale che quella grafica. Dall’altro abbiamo un ottimo professionista nel campo dell’illustrazione al quale è stato chiesto di creare una gabbia grafica per il testo elaborato dal fisico Michel Van Ball.

A questo punto un primo aspetto che credo valga la pena sottolineare viene a essere la grande versatilità dello strumento grafico che, similmente a quanto accade per la scrittura o per il cinema suoi parenti stretti, dimostra, qualora ce ne fosse bisogno, di poter raccontare, descrivere, istruire servendosi di una incredibile varietà di stili, approcci, strategie.

Ciò che qui più mi preme mettere in evidenza, forte della presenza di queste due opere che usano approcci completamente differenti nell’uso del fumetto, è però il seguente aspetto: la “nona arte” può sì essere utilizzata in modo molto vago, abbandonando del tutto l’intento di spiegare alcunché e concentrando gli sforzi sulla resa di una certa carica emotiva (“Il teorema di Bell”. Per quanto vago, gli devo l’essere entrato in contatto da ragazzo con quel teorema…), ma può anche – ed è questo per me il punto davvero importante – essere usata in modo estremamente sintetico e scientificamente corretto così da soddisfare palati molto esigenti in fatto di aderenza a un certo modo di spiegare le cose (il fumetto-infografica di Le Scienze). E lo fa così tanto bene da poter comparire addirittura come sunto di un articolo scientifico.

Il che mi porta a riallacciarmi a quanto ho già raccontato in un altro articolo pubblicato in passato sempre in questo blog.

Insomma, mi trovo ancora una volta entangled come me stesso e con ciò che pensavo: anche se a grande distanza di tempo, scopro di aver mantenuto la stessa “polarizzazione mentale” su un certo argomento. Forse non è il caso di dirlo forte. Mi sa che tutta questa coerenza, questa mancata variazione del valore delle mie variabili non più nascoste, bensì manifeste, non deponga del tutto a mio vantaggio…

SZ

 

1- Si veda l’articolo del 1935 “La descrizione quantistica della realtà fisica può ritenersi completa?” firmato da Einstein, Podolsky, Rosen (EPR): https://pdfs.semanticscholar.org/7861/a9c8b30bcc5fbd32e23b12f980f4a35c1537.pdf

2- O, se esistono, quantomeno, non agiscono.

3- Confesso che la prima lettura di quell’articolo di Le Scienze mi lasciò felice, enstusiasta, affascinato. La seconda mi sembrò rivelare alcuni limiti del testo e la terza restrinse il dominio della mia contentezza alla sola notizia del risultato sperimentale, lasciandomi alquanto tiepido circa il modo in cui l’esperimento veniva descritto. Il paragone con una qualsiasi conferenza di un qualsiasi grande luminare invitato a dire la sua su un argomento X è stato immediato. Un certo “principio di autorità”, complice il fascino del tema trattato, fa sì che spesso non ci si renda conto di ciò che davvero sta avvenendo davanti ai nostri occhi. Alla fine del suo intervento saremo tutti convinti di aver visto/sentito la migliore spiegazione possibile, ma se riuscissimo a rivedere la registrazione di quell’intervento, potremmo forse scoprire quanto alle volte, nel caso di persone reputate come “coloro i quali sanno” o “coloro i quali sanno fare”, la loro fama ci spinga a sopravvalutare il loro operato. Spesso, diciamocelo pure, “compriamo” solo la marca o il contenitore senza capire del tutto se davvero gradiamo il contenuto. Sarà forse un problema di traduzione (ne dubito) dall’inglese all’italiano, sarà forse un problema dovuto al fatto che l’aver studiato meccanica quantistica all’università non fa certo di me un esperto della materia e, soprattutto, dei suoi sviluppi più di frontiera (lo temo), ma l’articolo ora mi risulta carente in alcuni aspetti comunicativi, oltreché in altri più tecnici e mi riservo di parlarne con qualcuno che possiede maggiori conoscenze del sottoscritto così da comprendere dove si nasconde ciò che da qualche parte, in me o in quel testo, manca. Quale che sia il reale motivo della mia perpessità, per una spiegazione esaustiva del problema fisico rimando ovviamente alla lettura di testi tecnici, ma soprattutto consiglio di affrontarne altri capaci di mettere in risalto, in modo chiaro e circostanziato, l’entità della questione senza affrontare troppi tecnicisimi che possono “distrarre” chi non ha dimistichezza con il formalismo fisico. Ad esempio, trovo molto bello il secondo capitolo del Zeilinger Il velo di Einstein pubblicato tra i saggi Einaudi. Se poi l’articolo di Le scienze lascia anche voi un po’ insoddisfatti, vi consiglio di dare un’occhiata all’articolo di ricerca vero e proprio che trovate qui.

4- Si tratta di due pagine tratte da due differenti fumetti di Squid Zoup pubblicati in questo blog: la prima è tratta da Signal / Noise, l’altra da How deep is your world?

 

Un appuntamento bolognese

Disegno-tèssera

Oggi, Venerdì 24 Ottobre, alle 16:45, nell’Aula Magna dell’Associazione Istituto Carlo Tincani per la ricerca scientifica e la diffusione della cultura che ha sede in via Riva Reno 55, a Bologna, terrò una lezione sui rapporti tra astronomia, musica, pittura e fumetto.

A moderarmi, punzecchiarmi, contrastarmi e stimolarmi ci sarà il mio mentore, il professore Ordinario ed ex direttore dell’Osservatorio Astronomico di Bologna Flavio Fusi Pecci. Definirlo un personaggio è dir poco e chi lo conosce, sa già che la sua presenza significa che ci sarà da divertirsi.

Trattandosi di una libera università con tanto di corsi, docenti (sono annover tra questi…) e iscritti, non sarà di certo una lezione aperta al pubblico.

Questo riduce di molto la possibilità che qualcuno domani venga da me a dirmi: ho saputo di questa iniziativa dal blog e sono venuto a conoscere la “controparte materica” di Squid Zoup.

In ogni caso, ho ancora un po’ di ore per immaginarlo possibile.

E lo farò.

SZ

 

TOMINO ALLA SCIENZA – La futura, nuova alleanza.

In principio era il numero - Dedicato a Tobia Ravà

In principio era il numero – Dedicato a Tobia Ravà

La vita, specie quella di abitudinari come chi scrive, è costellata da tanti riti. Una bella consuetudine è per me fare colazione con un giornale a portata di mano.

Intanto un distinguo: quando sono a Bologna, colazione vuol dire caffè, cornetto alla crema e bicchiere d’acqua. Qui a Catania le cose si complicano piacevolmente e, oltre ad acqua e caffè, ci vuole una granita di mandorle o di gelsi (quelle che amo di più, ma ce ne sono anche di altri gusti) e una brioche calda. Altro distinguo: a Bologna mi piace dare un’occhiata a Il Resto del Carlino nella pagina dedicata alla città mentre qui sull’isola è d’obbligo dare una scorsa alle pagine catanesi de La Sicilia.

La Domenica, poi, l’abitudine si fa lusso, addirittura, e il giornale me lo compro. I motivi per farlo sono vari, ma tra tutti spicca il tentativo di evitare almeno per un giorno di farmi il sangue acido nell’osservare come alcuni incivili, irrispettosi degli altri e convinti che chi gli sta attorno sia solo una fastidiosa proiezione del loro smisurato e fantasiosissimo ego, prendono in ostaggio per mezz’ora o finanche un’ora il giornale del bar – sì, quello che sarebbe solo da consultare velocemente – per leggere ed evidentemente mandare a memoria finanche i necrologi. Dedico tutto il mio disprezzo di oggi a questi imbecilli.

L’ho detto, sono abitudinario e alcune consuetudini vengono spesso tramandate da padre in figlio. Mio padre, che comprava tutti i giorni La Repubblica e il Corriere della Sera con ogni tanto l’aggiunta de Il Manifesto, mi ha involontariamente lasciato in eredità un certo piacere fisico nello sfogliare almeno il primo dei tre. Lo so, concordo con molti di voi: è una testata che alle volte lascia perplessi, ma pare che la nuova politica della sinistra non solo lo ammetta, pretendendolo, addirittura. In ogni caso, l’abitudine ha sempre la meglio su di me e una certa cura nella confezione di quelle pagine mi aiuta a passare sopra certi “difetucci”. In ogni caso, ho scoperto che la mia sindrome da attaccamento compulsivo a quella testata non è neanche tra le più eclatanti. Mi sono infatti imbattuto in un blog tenuto da persone che hanno deciso di commentare con estremo rigore finanche le font usate dalla redazione di quel giornale. Se può interessarvi, ecco l’indirizzo:

http://pazzoperrepubblica.blogspot.it

Nonostante tutto, La Repubblica è per me il giornale (… non quel giornale. Vi prego, non fraintendetemi), anche se poi scopro che, se mi venisse dato il potere di farlo, riassumerei l’intera pubblicazione in poche pagine o, meglio, in poche rubriche. Salverei L’amaca di Michele Serra, le vignette di Bucchi (quando presenti), e le pagine culturali, specie quando non vengono affidate ai soliti personaggioni, tuttologi di professione, che tanto piacciono agli italiani (per forza: glieli propinano in tutte le salse e alla fine… Gutta cavat lapidem).

Alla Domenica, poi, capita che tutti o quasi i quotidiani si arricchiscano oltremodo con inserti di vario tipo e La Repubblica non è da meno. Offre infatti l’inserto La Domenica Cult che contiene un bel po’ di articoli in grado di soddisfare un gran range di palati.

E la scorsa Domenica il mio palato ha festeggiato. Sì, perché a pagina 35 ho trovato l’articolo di Jaime Dalessandro L’immaginazione è finita, non ci resta che la scienza, un bellissimo pezzo incentrato sull’intervista fatta al disegnatore Yoshiyuki Tomino (http://it.wikipedia.org/wiki/Yoshiyuki_Tomino), padre di Gundam il quale afferma: “Ho immaginato il futuro per più di trent’anni. L’ho scritto, l’ho disegnato, l’ho trasformato in intrattenimento”. L’intervista poi si chiude con un’affermazione che di solito non si immagina di ascoltare dalla bocca di un disegnatore di fumetti: “Credo nella ricerca scientifica. Non è molto forse, ma è quello che mi resta”. Beninteso: sono convinto che si possa e si debba credere nella ricerca. A sorprendermi piacevolmente è stato scoprire che per un artista la ricerca scientifica possa arrivare a essere tutto ciò che gli resta da credere.

A pagina 50 invece mi imbatto nell’intervista concessa da Carlo Cellucci (http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Cellucci) ad Antonio Gnoli. Non conoscevo il personaggio e confesso: a farmi fermare su quella pagina è stato il bel ritratto fattogli dal solito Riccardo Mannelli, un altro fumettista abbastanza sui generis, da tempo convertitosi all’illustrazione. Il suo stile non sempre è in grado di colpirmi e ritengo di averlo apprezzato di più quando faceva il dissacratore, cioè quando rappresentava il laido, lo squallore riuscendo a metterlo in evidenza col semplice disegnare le cose (e le persone, alcune persone) così come sono. All’epoca era puntuale nel dimostrare come la realtà, disegnata in stile quasi iperrealista, possa rivelare ciò che l’occhio stanco, uso e abusato, non nota più nemmeno in una foto.

Ma torniamo al Cellucci. Se Mannelli mi ha fatto indugiare su quelle due pagine, il sottotitolo (in realtà, era in alto nella pagina. Era un sopratitolo?) e il titolo mi hanno definitivamente convinto a leggere l’intero l’articolo. Promettevano, rispettivamente: “Dagli studi di filosofia alla grande passione per la matematica e la logica, con in mente sempre il detto di Cartesio: Per costruire qualcosa bisogna prima distruggere ogni certezza”. “Carlo Cellucci – Il vero è solo un fantasma la scienza cerca il plausibile”.

Mi ha divertito seguire la sua narrazione del supramondo nel quale galleggiano vere e proprie icone della cultura del ‘900 (in ordine di apparizione nel testo): Lucio Colletti, Imre Lakatos, Karl Popper, Paul Feyerabend, Thomas Kuhn, Vittorio Somenzi, Ludovico Geymonat, Bertrand Russell, Alfred North Whitehead, Noam Chomsky, Ludwig Wittgenstein, Stephen Hawking, Kurt Goedel, David Hilbert, John von Newmann, Rudolf Carnap, Georg Cantor, Charles Sanders Peirce…

Ciò che più mi ha fatto pensare, oltre a certe sue definizioni e visioni di e sulla scienza, è quella familiarità dell’intervistato nel citare nomi di personaggi (alcuni di loro Cellucci li ha conosciuti sul serio, di persona) e concetti appartenenti al mondo della filosofia della scienza che, pur vivendo in un ambiente di ricerca per molte ore della mia giornata media, non sento mai pronunciare.

Che la filosofia, almeno quella della scienza, proprio non abbia appeal in ambiente scientifico, me lo dice con una certa durezza il saggio del 2009 di Gabriella Fazzi Così vicini, così lontani – visioni di scienza nei ricercatori del CNR (Editore Bonanno, prezzo: 28,00 euro). Un testo che, tra le altre cose, mi fa capire come non sia cambiato nulla da quando, molti anni fa, una volta iscrittomi a Fisica e costretto a presentare un’idea di piano di studi, scelsi tra gli esami complementari Epistemologia, da seguire a Filosofia. Dopo solo un paio di giorni, fui convocato d’urgenza nientepopodimenoché dal direttore del mio corso di Laurea il quale mi chiese spiegazioni per quella mia scelta così “bizzarra”. Gli dissi che, venendo dal liceo classico, avevo imparato a non fare a meno di certe speculazioni che alla scienza non potevano che fare bene. La sua risposta fu: “Sarà, ma tenga presente che io sono arrivato qui dove sono senza sapere queste cose” (esticà…!). Per inciso: per quanti sforzi io faccia, non riesco proprio a ricordare il nome di quello arrivato lì. Insomma, Croce avrà anche perso (per fortuna, aggiungerei… ) nel suo tentativo di demonizzare la scienza, ma, come ho già avuto modo di notare in un altro mio post (https://squidzoup.com/2013/12/30/testa-and-croce/), direi che i vincitori non vadano comunque cercati nel bel paese.

“Chissà”, mi dico, “forse in ambiente filosofico o matematico è più facile sentire parlare dei su citati epistemologi ai quali noi “scienziati”, consapevolmente debitori nei confronti del pensiero di Galileo, di Cartesio, di Newton e Einstein, dobbiamo pure molto (anche se lo dimentichiamo), specie in riferimento alla plausibilità delle modalità di azione tipiche di chi fa ricerca”, ma poi, a convincermi che così non può essere, c’è una certa brutta sensazione, avvalorata da ciò che riferiscono alcuni filosofi di mia conoscenza.

La loro opinione è che la filosofia della scienza nel mondo accademico non abbia poi così tanto spazio, almeno in quello italiano. Me lo conferma anche Aurelia, laureata in filosofia, bravissima e competente libraia di un bookstore catanese molto in vista, mentre mi individua un libello di Lucio Russo dalla costa sottile e bassa (La cultura componibile – Dalla frammentazione alla disgregazione del sapere, Liguori Editore, 2008, prezzo: 12,49 euro) che soccombe e quasi soffoca tra decine di pubblicazioni dalle dimensioni prepotenti.

E mi sembrano confermarmelo anche a) il dato che in libreria non sia possibile trovare così tante pubblicazioni su questi argomenti, b) una rapida ricerca nei siti di alcuni atenei italiani dai quali mi pare di capire che forse sarà anche possibile studiare la filosofia della scienza in qualche corso, ma poi è difficile immaginare un percorso professionale in quella direzione, c) il dato che la filosofia della scienza non riesca ancora a farsi apprezzare in ambiente scientifico. Se ho ragione, tutto ciò rappresenta il triste fallimento dell’idea di Jean-Marc Levy Leblond di cui ho parlato con un certo entusiasmo in un precedente post (https://squidzoup.com/2013/12/10/zibaldon-di-leblond/). Confido in vostri commenti che sconfessino me e i miei referenti. Sarebbe una bellissima, vittoriosa sconfitta.

Parlavo di alcune affermazioni interessanti di Cellucci. Eccole: “Il richiamo alla verità mi fa sorridere. É un fantasma. La sua ricerca esiste nella teologia, forse nella filosofia, magari in qualche frase che due innamorati si scambiano. La scienza non cerca la verità. Ho sostituito il concetto di verità con quello di plausibilità. (…) Se la scienza si occupasse di verità si dovrebbe concludere che la sua storia è la somma di una serie di fallimenti. (…) Non esiste approssimazione alla verità ultima. (…) Non esistono verità ultime. Ciò che costruiamo umanamente serve a conoscere parti del mondo e a sopravvivere in esso. Limito molto il valore della scienza”

Sospendo il giudizio su molte di esse, ma ce n’è una che mi piace in modo particolare ed è: ciò che costruiamo umanamente serve a conoscere parti del mondo e a sopravvivere in esso.

Questo connettere l’intera attività intellettuale alla sopravvivenza di chiunque, includendo in “tutta” non solo le discipline di cui è facile sperimentare la ricaduta nella vita di tutti i giorni, ma anche la logica, la filosofia e qualsiasi altra forma di speculazione teorica… (le costruiamo umanamente) che così diventano strumenti elettivi per superare le prove evolutive, mi fa stare decisamente meglio.

La visione del Cellucci potrebbe far apparire dei praticoni, dei supereroi, dei boy-scout che aiutano la vecchina ad attraversare la strada anche i più teorici dei fisici teorici o i più distratti dei filosofi teoretici.

E se un artista, disegnatore di fumetti ed esperto di animazione il quale a bordo delle sue creazioni grafiche ha condotto intere generazioni verso il futuro lungo la direzione indicata dalla scienza, può scoprirsi fiducioso nella ricerca scientifica, sono felice di poter urlare con Cellucci che filosofi della scienza, matematici, logici, cosmologi… si muovono lungo pensieri complicati e apparentemente astrusi, inutili e lontani dalla quotidianità per tornare dalla speculazione teorica alla società con validi suggerimenti e forse con la soluzione al problema di come meglio sopravvivere in futuro.

Insomma, ci si vede in centro: In medio stat humanitas.

SZ

 

Sottofondo:

Personal Moutains – ECM

 

Copertina personal Mountains

 

Oggi inizio

Oggi inizio!

Perché una Zouppa???

Perché mi ricorda qualcosa che “bolle in pentola”, qualcosa da gustare dopo lunga cottura e che va servita calda.

In fondo, il blog è qualcosa di simile: un’idea ti ribolle in testa e, quando è pronta, la servi sulla tavola di internet sperando che qualcuno gradisca e che decida di sedersi a mangiare con te.
Nello scegliere come chiamare questo spazio, non ho potuto fare a meno di cedere al fascino della lingua inglese. Prima di capitolare, ho fatto diverse ipotesi in italiano, ma ogniqualvolta ho optato per un nome da dare a questo blog, ho scoperto di essere sempre arrivato almeno II, quando non addirittura XXXXVVVIII.

Inizialmente la zuppa era quindi zuppa, poi ho deciso di renderla soup, in inglese. Più agile, moderna, veloce, take away.

Sì, però non era certo mia intenzione parlare (solo) di cucina –  ci sono tantissimi blog specializzati sull’argomento. Uno “ottimo” fra tanti, http://relaxingcooking.wordpress.com/ della mia amica Maria Antonietta Montone – e mi andava di rendere omaggio anche all’italiano che con la zuppa in qualche modo c’entra di sicuro. Sarà poi che vivo da tanti anni in Emilia Romagna, una regione nella quale le “z” sono “s” (ragassi, pissa, pessi, …), che alla fine ho deciso di vendicare le “z” cambiando l'”s”iniziale di soup nella “z” di zoup.

Sì, ma perché squid?

Innanzi tutto perché amo i calamari, vivi, fritti, ripieni o al sugo che siano.

Subisco da sempre il fascino di tutto ciò che ha a che fare col mare. Oltre a questo, subisco anche quello che avvolge l’esistenza di animali strani, dei vari mostri marini inventati o veri che siano e, tra tutti, l’architeutis dux, il famoso calamaro gigante, è quello che più mi emoziona.

Cerco sempre in rete immagini nuove che mostrino questo stranissimo essere di cui ancora si sa molto poco e che mi sembra rappresentare al meglio la potenza e la fantasia della Natura. No, non credo di aver mai immaginato di fare una zouppa di calamaro gigante, ma ho pensato che al ribollire di pensieri di cui dicevo prima, lo squid avrebbe aggiunto di sicuro sapore. Inoltre mi regala l’opportunità di usare una splendida metafora per riferirmi a tutte le cose che mi interessano come professionista e come persona.

Uso allora il dato che questo animale possiede ben dieci TEN-tacoli, otto corti più due lunghi, per dire la mia agganciando idelamente l’astronomia, la scienza in generale, la fantasciena, il fumetto, l’illustrazione scientifica, la narrativa, il jazz, la musica classica. Per arrivare a dieci, rimangono ancora due tentacoli. Volendo quindi completare il cucuzzaro, se sarà il caso di sconfinare in temi non compresi nell’elenco predcedente, deciderò volta per volta in che direzione puntare queste due appendici-jolly.

Insomma, vorrei provare a divertirmi in un modo per me nuovo, sperando di divertire anche qualche altro internauta che si trovi a passare da qui.

Mi prendo giusto il tempo di impratichirmi con questo strumento, dopodiché inizierò a pubblicare cose spero interessanti con una cadenza ancora tutta da stabilire che vorrei fosse regolare, pur sapendo che non ce la posso proprio fare.

Cià!