Zibaldòn di Leblònd

Avevo intenzione di scrivere una classica recensione di un bellissimo libèllo che ho letto di recente.Recensioni

La sua stessa natura di raccolta di pensieri su diversi, vasti argomenti, compiuti con argute analisi e tutte meritevoli di una recensione a parte, mi ha indotto a focalizzare l’attenzione su un solo aspetto scelto tra quelli toccati dalla penna felice di Jean-Marc Lévy Leblond.

Fisico teorico, l’autore di “Scienza e cultura” (http://www.unilibro.it/libro/levy-leblond-jean-marc/scienza-e-cultura/9788883232305) ha lavorato al Centro Nazionale Ricerche francese ed è professore emerito presso l’Università di Nizza.

Capace di autoanalisi che definirei spietate se non fossero condotte con una apparente pace interiore davvero encomiabile, quando rivolge la sua attenzione a problemi di ordine sociologico ed epistemologico, rivela una cultura estremamente sfaccettata, nonché un acume e una libertà di pensiero rari nella schiera dei suoi colleghi.

Quando, in particolare, applica le sue analisi alla divulgazione, nota aspetti degni di essere riportati. E io che faccio? Ve li riporto!

Il capitolo “La divulgazione scientifica” inizia con una frase che già promette bene: “Quando ho cominciato a fare divulgazione, credevo ingenuamente che bastasse tradurre il linguaggio scientifico con parole più semplici, d’uso quotidiano, evitando il gergo scientifico e le parole erudite. Ma mi sono accorto che ciò non funzionava ed era completamente insufficiente”

Immediatamente dopo, tiene a spiegare quale sia l’importanza di una adeguata preparazione storica del divulgatore il quale dovrebbe soffermarsi prima su concetti scientifici a torto ritenuti obsoleti e che invece sono proprio quelli che possono ancora essere divulgati con una certa probabilità di successo. Quello che di solito si fa è raccontare le ultime ricerche, quelle che fanno notizia e che sono davvero in pochi a capire sul serio, facendo finta di non essersi accorti che nulla del genere accade in altri campi dello scibile.

Esempio lampante di ciò che afferma è la teoria della relatività: scegliere di descrivere quella di Einstein senza essere certi che l’uditorio conosca sufficientemente bene quella di Galileo, significa incorrere in un sicuro insuccesso, anche se nessuno degli astanti andrà a dire al divulgatore che, nonostante la sua imperdibile spiegazione, non ha capito nulla.

Poi continua notando che “non c’è divulgazione in filosofia; non c’è divulgazione nemmeno in sociologia”, e da qui approda alla seguente, nodale osservazione: “Io preferirei che ci si avvicinasse a un’altra concezione, a un’altra formulazione, simile a quella del critico letterario, del critico musicale, ovvero colui che permette di comprendere il significato della novità e di conseguenza la valutazione. Non è il giudizio, se va bene o non va bene; non è questo che interessa, ma piuttosto occorre sapere se è nuovo o non lo è, a cosa si ricollega, in quale traiettoria o in quale filiazione si può situare. Io penso che noi abbiamo bisogno, più che di divulgatori, di coloro che chiamerei critici scientifici“.

Trovo questo punto di vista fondamentale. Finalmente qualcuno rende giustizia a una professione, quella al momento indicata con il termine “divulgatore”, che piuttosto che esser vista come tale, viene assunta come qualcosa che, in quanto laureati, si sa fare di default.

Mi spiego: quello che mi sembra di vedere è che spesso la divulgazione viene considerata come il più immediato dei ripieghi, una comoda e affascinante (capita che ci si ritrovi su un palco, sotto gli occhi di tutti, a recitare la parte del grande scienziato) alternativa ad altre attività come, ad esempio, quella di programmatore o di informatore farmaceutico. “Ho studiato certe cose, di sicuro le so raccontare” potrebbe essere il motto di molti che scelgono di misurarsi con questa relativamente nuova professione.

Facendo questo mestiere, ci si trova per lo più a dover raccontare al pubblico qualche aspetto della scienza. Di conseguenza è normale che a ritenersi adatti a farlo siano persone che la scienza l’hanno studiata, ma ci si dimentica che non si tratta (solo) di capire un problema. La vera sfida è trasferire l’emozione della conoscenza ad altri. Ho posto l’accento sull’emozione perché è davvero difficile che, con i tempi tipici di un incontro di divulgazione, vi possa essere un vero e proprio trasferimento di conoscenza. Quello che ragionevolmente si può e si deve sperare è che il pubblico vibri, risuoni con il divulgatore e che poi trasferisca questa energia vibrazionale in qualcos’altro che nel più semplice dei casi può essere lo studio personale.

Questo fa sì che tra gli strumenti del divulgatore debba esservi anche la capacità di parlare meglio di altri a un pubblico adoperando almeno un idioma tra i tanti a disposizione, ma tutto ciò non basta o non dovrebbe bastare. Stando a quanto detto finora, l’incontro col pubblico dovrebbe essere solo una frazione, non necessariamente la più importante, di un processo che inizia con lo studio, intendendo con tale termine non più quello dedicato solo alle materie scientifiche che si intende spiegare.

Ciò che mi sembra possa davvero poter garantire la qualità dell’intermediazione, della giunzione attuata dal divulgatore tra scienza e pubblico, risiede in una certa capacità di veicolare immagini mentali, emozioni, motivazioni, … e tutto ciò nasce anche da un tenere sotto controllo l’evoluzione della società e di connettere questa evoluzione con quella della scienza che in essa opera.

Credo quindi che il divulgatore debba essere un intellettuale un po’istrione (vale anche per chi scrive: i suoi testi devono catturare oltre che spiegare) o qualcosa di molto simile e, nel dirlo, non intendo certo assumere gratuitamente di esserlo. Piuttosto intendo prendermi l’onere di approssimarmi a questo status preparandomi di conseguenza. Un critico della scienza deve avere un fish eye puntato sul mondo; deve sapere di epistemologia più che di scienza, di sociologia più che di gossip, di storia della scienza più che di attualità scientifica. Se poi a tutto ciò aggiunge una conoscenza scientifica di base o una specialistica in qualche materia, ovvio che la cosa non può che far bene.

In definitiva, questa non è una recensione, ma un ringraziamento fatto all’autore per avermi permesso di capire cosa voglio essere e, muovendomi lungo percorsi alquanto tortuosi, cosa da anni cerco di diventare.

A volte torno

Rieccomi!

Chiedo umilmente scusa a tutti quei pochi che avevano iniziato a seguirmi, ma impegni di lavoro mi hanno portato altrove, laddove non avevo uno scanner.

Qualcuno potrebbe trovare la cosa non così importante, ma desidero che questo blog abbia sempre le due componenti presenti, Inchinoquella testuale e quella grafica, e

ora che sono tornato a vivere dove ho tutto ciò che mi serve, sono intenzionato a ridarmi una certa regolarità nel pubblicare.

Spero quindi che l’assenza mi venga perdonata e che nuovi followers possano arrivare. Scusatemi ancora e a prestissimo!

SZ