Mandare in Fumetto la Scienza

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Il 9 Aprile scorso, era una Domenica, ho preso parte a uno stimolante dibattito su “Scienza e Fumetto” svoltosi a Trieste per la manifestazione “Scienza e Virgola” organizzata dal Master in comunicazione della Scienza della SISSA.

Lì, assieme a Francesca Riccioni, autrice di Enigma disegnato da Tuono Pettinato e di Il segreto di Majorana realizzato graficamente da Silvia Rocchi, sono stato intervistato dal giornalista scientifico Michele Bellone.

Giocavamo tutti in casa: sia io che Michele e Francesca siamo ex “sissini” e dalla SISSA, tra studenti e docenti, arrivavano anche molti altri convenuti.

Durante la discussione, condotta magistalmente da Michele e di sicuro agevolata dall’ambiente accogliente dello storico Caffè Libreria San Marco, tra specchi e arredi dal sapore vagamente Art Decò, libri e sorrisi, sono emersi spunti molto interessanti.

Interessante dal mio punto di vista è stata soprattutto la benevola contrapposizione, a dir poco netta e ben esemplificata dalle posizioni mia e di Francesca seduti come eravamo in posizione simmetrica ai due lati dell’”asse” Bellone, su come debba essere interpretato il ruolo del fumetto nell’ambito della narrativa scientifica.

Lei, ad esempio, si diceva del tutto disinteressata a fumetti didattici e divulgativi che affrontassero da vicino i temi scientifici, preferendo invece sondare le vicende umane dei personaggi che la scienza l’hanno fatta. I suoi due lavori, entrambi molto belli, parlano bene di questa sua preferenza, incentrati come sono sulle peculiari vicende personali di Alan Turing e di Ettore Majorana.

A farle da contraltare c’ero io che, nel mio approcciare al fumetto scientifico, mi sento attratto da tutti i possibili spunti narrativi – e questo significa che vi è anche una certa sovrapposizione con l’interesse di Francesca per l’aspetto storico-biografico della scienza – dai quali non escludo quelli che, umoristicamente o seriamente, si propongono di spiegare qualcosa arrivando persino a inserire le formule nelle vignette.

Come lì ho avuto modo di dire, stimolato dalle domande di Michele, per me la scienza è narrazione: una descrizione particolare dei fatti scritta con un linguaggio che consente di porre domande non ambigue alla Natura e di ricevere da essa risposte dello stesso tenore.

Questo aspetto è complementare a quello, di sicuro narrativo, comprendente le vite e le vicende di chi la scienza la fa, ma riconoscendo anche un aspetto narrativo in tutto ciò che è scritto in matematichese, in fisichese, in chimichese, …, ritengo che l’esclusione a priori della parte più tecnica dal mondo del fumetto possa delinearsi solo come una perdita enorme e difficile da giustificare.

Dopo aver espresso questa mia visione e aver riassunto velocemente quanto già raccontato in un articolo pubblicato qui sul blog, nell’intervista che mi ha fatto Alfredo Sessa e nell’introduzione del mio libro Pianeti tra le Note, ho raccontato come circa un anno fa ho scoperto di disegnare non fumetti, bensì “concept comics”.

Si tratta di fumetti usati per la didattica e la divulgazione di diverse materie – dalle scienze cosiddette “dure” a materie lettararie, artistiche, economiche, … – e gestiti in vari modi così da coadiuvare le più banali esigenze informative come anche le più sofisticate tecniche pedagogiche.

Sorprendentemente, non solo non sapevo nulla di questo nuovo ambito di studi, ma ho scoperto anche che vi è già una nutrita letteratura al riguardo e che, caso strano, vede soprattuto attivi specialisti dell’europa dell’est. Ad esempio, secondo il biologo croato Mico Tatalovic:

“They can be used by teachers as a lesson starter, to determine students’ prior knowledge (such as existing scientific vocabulary, preconceptions and misconceptions), to motivate students to ask questions, and to help gauge students’ understanding of science topics by allowing them to produce their own comics and punchlines. With older groups, the comics could be set as preparatory homework for subsequent classroom discussion of the story’s scientific merit and credibility.”

Possono essere fumetti concepiti al solito modo, ovvero come storie senza nessuna particolarità se non quella di trattare temi particolari dopo averli incastonati, a volte mimetizzati, quasi, in una vicenda che faccia da cornice al fine di non farli sembrare solo complesse infografiche. In alternativa, possono adottare alcune semplici ma efficaci strategie così da saggiare l’attenzione e la comprensione del pubblico al quale vengono sottoposti.

Come? I modi possono essere tanti. Ad esempio, si possono inserire qua e là nel corso della storia dei baloon vuoti che il lettore viene chiamato a riempire con un testo di raccordo tra ciò che precede e ciò che segue, dimostrando(si) così di aver capito quanto si sta raccontando e consentendo anche al docente di valutare se vi sono o meno buchi logici nella narrazione adottata.

In alcuni casi, si può anche arrivare a chiedere agli studenti di disegnare un’intera vignetta mancante, corredandola anche di un testo adeguato così da dare un quadro più completo della comprensione del tema e del grado di coinvolgimento raggiunto durante la lezione.

Oltre ai vantaggi didattici appena rivelati, ve ne sono molti altri che avrebbero il potere di espandere la discussione fino a renderla non contenibile in un semplice articolo di blog, ma di alcuni di essi mi piace dire qualcosa perché sono quelli che più mi hanno colpito.

É il caso, ad esempio, di ciò che segue: quando e se spieghiamo ai ragazzi che la scienza è anche narrazione – e da questo punto di vista, recitano la parte del leone le vicende umane degli scienziati capaci di dare quella profondità storica che da sempre manca all’insegnamento delle materie scientifiche  e che invece è preponderante nella didattica delle materie umanistiche -, corriamo il rischio di dar loro ancora una volta uno spunto che sortirà, come spesso accade, un atteggiamento di passiva e acritica accettazione.

“La scienza è narrazione. Lo ha detto il professore, quindi, se me lo chiedono, devo rispondere di sì”.

Chiedere ai ragazzi di completare il testo o addirittura le vignette di una storia a fumetti, che si tratti o meno di una storia biografica, fa convogliare la loro attenzione nella direzione della comprensione di quanto narrato, rendendo il materiale didattico vivo in quanto storicizzato e inquadrandolo in uno schema logico, ma anche cronologico, di cose che vengono prima e di cose che seguono.

In questo caso, l’informazione che la scienza è cosa viva in quanto fatta da uomini e che, come nel caso della storia della letteratura o in quello della storia dell’arte, la componente umana (conquiste, errori, ripensamenti, opposizioni, …) è fondamentale, scaturisce non da una affermazione apodittica dell’insegnante, ma da un personale prendere atto che le cose vanno davvero così: lo studente sperimenta la storia della scienza, prendendo su di sé la responsabilità di connettersi con quel flusso di eventi, di entrarci dentro, farlo proprio e dare il proprio contributo personale.

A questo punto, che si tratti di completare la vignetta con idee scientifiche o che si tratti di continuare la vicenda umana dei personaggi, il lettore si trova egli stesso coinvolto:  farà parte della storia, la sentirà e si troverà a viverla sulla propria pelle. A modo suo, e a un livello variabile, ma sempre superiore per coinvolgimento a quello adottato da chi supinamente ascolta una lezione senza davvero interagire con quanto ascoltato, il lettore “farà scienza”.

In fondo, non tutti coloro i quali si occupano di ricerca poi si troveranno ad essere degli Einstein, dei Darwin o a vincere un Nobel. Tutt’altro. Orde di scienziati –  veri e propri “manovali” o “braccianti del pensiero” – ogni giorno macinano quantità enormi di dati grezzi alla ricerca di poche perle alle volte del tutto assenti. Lo fanno lavorando nell’anonimato, stando al chiuso di contenitori chiamati “istituti di ricerca” nei quali compiono azioni grosso modo ripetitive, senza la minima certezza che questo comporterà un giorno fama e ricchezza.

Il contributo dello studente che agisce di suo pugno in una storia a fumetti sulla scienza diventa quindi uno strumento perfetto per introdurlo al concetto di lavorare per un obiettivo scientifico, in una cornice di onesta e disinteressata collaborazione sociale tra pari.

Un altro aspetto non da meno, che rende i concept comics molto interessanti, è a mio parere quello che ha a che fare invece con storie che non implicano questo coinvolgimento diretto e che chiedono solo di essere lette, senza che il lettore possa apportare un contributo concreto come nei casi descritti prima.

In diversi articoli che ho trovato sull’argomento concept comics, le avventure che classicamente narrano le vicende di un protagonista nel quale sia facile identificarsi vengono molto apprezzate in quanto rendono particolarmente facile un importante e desiderabile processo di identificazione tra il lettore e il suo eroe.

Quando questo transfert effettivamente si verifica, lo studente non vive più il suo solito imbarazzo nel fare domande che possano suscitare l’ilarità della classe o la reazione antipatica del professore. A vivere tutto questo in sua vece è il protagonista del fumetto che consente al lettore di vivere per interposta persona l’esperienza a volte molto difficile dello studente alle prese con temi e docenti/compagni difficili.

A questo punto, il lettore può decidere, cosciamente  o incosciamente, di immedesimarsi nel docente, nello studente, nel compagno di classe che rispettivamente spiega, tace, prende in giro, … trovandosi così a poter oggettivizzare il ruolo che lui stesso gioca in classe e scoprendo quali siano i limiti del suo agire e del suo modo di pensare come anche dell’agire e del pensare altrui.

In chiusura di questa puntata di un trend che oramai si è venuto a creare in Squid Zoup, annuncio che presto tornerò a parlare in questo spazio virtuale di fumetto, descrivendo le strategie che sto adottando nella costruzione di alcune storie di divulgazione astrofisica che sto ideando e disegnando per l’istituto cileno di ricerca astrofisica MAS.

Prima di chiudere, mi prendo ancora poche righe per sottolineare l’importanza di  manifestazioni come quella triestina e di altre ricavate all’interno di spazi dedicati in festival della scienza come anche del fumetto, capaci di intercettare una tendenza che forse non è saltata sufficientemente all’occhio dei più, ma che può essere apprezzata notando come varie case editrici si siano impegnate in operazioni di questo tenore.

Si veda, ad esempio, la Scienza Papera della Disney, I Manga della Scienza promossi da Le Scienze, più altre puntate singole ispirate ad argomenti scientifici vari e pubblicate negli albi della Bonelli e di altre case editrici da sempre dedicate all'”arte sequenziale”.

SZ

Lettere Divulgative a un Figlio Lontano – Un terzo bonus di 24 ORE di visibilità

Mammouth-Zoup

Nel Domenicale di domani, Domenica 17 Aprile 2017, dovrebbe esserci (a volte l’editoria riserva sorprese dell’ultim’ora…) di nuovo un mio fumetto intitolato “Un orologio… a tempo”. É la terza volta che capita, dopo il 29 Gennaio e il 26 Febbraio, e la cosa ovviamente mi gratifica, rimpinguando energie mentali che spesso mi vedono “in riserva”.

Quale occasione migliore, allora, per raccontare quale sia il mio modo di pormi davanti a questa opportunità? Quale momento migliore per capirmi meglio, descrivendo(mi), spiegando(mi) quale sia la strategia che ho deciso, più o meno consciamente, di adottare nel costruire queste brevissime storie domenicali?

In un primo momento, ho pensato al testo che segue come a qualcosa che potesse trovare spazio nel sito del SOLE 24 ORE, ma poi Alfredo Sessa, responsabile della pagina, mi ha fatto notare che, eccezion fatta per alcuni spunti di interesse più generale, il testo fosse così personale da risultare molto più adatto a questo mio spazio.

Se state leggendo qui queste parole è proprio perché non ho potuto fare a meno di scoprire, rileggendomi, che aveva perfettamente ragione.

Senza quindi indugiare ulteriormente in introduzioni varie, prefazioni, preamboli, fronzoli, ecco quanto scrivevo in preparazione dell’uscita di, si spera, domani.

Buona lettura, sempre che vi vada di leggerlo.

Prima di iniziare a disegnare le mie brevi storie per il Domenicale, ho dato un’occhiata preventiva a quanto fatto dai colleghi che mi hanno preceduto su quella pagina. Questa breve indagine ha fatto emergere un carattere ondivago, come è normale che sia, degli approcci comunicativi: quello è chiaramente uno spazio dedicato ai più piccoli, ma nel quale la volontà di coinvolgerli viene coniugata quando in modo “classico”, ovvero con disegni dal tratto ampio, dai colori distesi e dai testi diradati, quando con un tratto un po’ più adulto caratterizzato da una maggiore densità e spigolosità dei segni e testi più ambiziosi.

Tutto ciò mi è sembrato normale, anzi, è del tutto normale: a parte prevedibili e necessarie variazioni di approccio da parte dei diversi autori, l’obiettivo stesso del comunicare ai più piccoli, in assenza di una precisa indicazione su cosa “più piccoli” esattamente significhi, implica il parlare a un range di età abbastanza ampio nel quale anche solo una differenza di un anno comporta enormi variazioni nelle capacità cognitive dei bambini.

Conoscendomi e sapendo che, almeno fino a oggi, mi è stata e mi è più consona la comunicazione con un pubblico adulto, ho pensato di interpretare il compito di parlare ai minori facendolo in un modo indiretto: ovvero passando dalla comunicazione intermedia con i genitori ai quali suggerisco possibili argomenti da raccontare, oggi o tra qualche anno, con l’aiuto dei miei fumetti o meno, ai propri figli.

La tensione divulgativa mi è propria, ma dopo aver pubblicato la prima storia “Se solo i grandi guardassero il cielo” – che, tra le due fin qui pubblicate, è quella che definirei più “emozionale”, da contrapporre ad altre di carattere più divulgativo (es.: “Un preciso caccolo astronomico”, Il Sole 24 Ore, 26 Febbraio), “storico” (es.: fumetto per l’European VLBI Network) o “di ricerca” (es.: quella oggi presente nel Domenicale. Per una discussione più approfindita su queste categorie, cliccare qui), e nella quale, come precisavo nell’intervista fattami da Alfredo Sessa lo scorso 29 Gennaio, un concetto da passare c’è ma è più nascosto, da intravedere in filigrana – ricordo di essere stato invitato dall’allora responsabile dell’inserto a esplicitare nei miei fumetti qualche contenuto astronomico in più: era proprio questo che ci si aspettava da un fumettista che, come me, facesse capo all’INAF, Istituto Nazionale di Astrofisica.

Ovvio che, dopo questo invito esplicito, l’idea di pubblicare sul SOLE 24 Ore ha preso ad intrigarmi ancora di più, con l’effetto però di stabilire in modo definitivo, o quasi, quale fosse il livello minimo di complessità grafica e testuale sul quale io, col mio tratto e col mio modo di raccontare, potevo attestarmi: non è assolutamente impossibile spiegare contenuti astronomici ai più piccoli, anzi; ma potendo farlo, preferisco dire qualcosa di più, quindi parlare a bimbi più grandi e ai loro accompagnatori.

Il coinvolgimento dei genitori in questo processo mi diventa quindi fondamentale in quanto è soprattutto a loro che mi rivolgo, privilegiando i papà per il semplice motivo che lo sono anche io e che quindi sento di vibrare in consonanza con molti nella mia stessa situazione.

I temi che ho scelto di trattare sono decisamente soft e, mentre con L’istituto cileno Milenio de Astrofisica sto conducendo, sempre a fumetti, un’operazione di divulgazione di temi di Astrofisica più dura non disdegnando di inserire qui e là anche qualche semplice formula, nel Domenicale propongo temi di Astronomia osservativa condotta a occhio nudo, quindi qualcosa di più facilmente trasmissibile da padre in figlio anche se il padre (o la madre) in questione non è un astronomo.

Rendere Giovanni protagonista di queste brevi storie assume qui molte valenze: intanto mi coinvolge in modo tale da farmi “stare sul pezzo” in modo diverso, senza farmi avvertire la stanchezza per le innumerevoli correzioni che apporto in corso d’opera a testo e disegni, ma che poi, a lavoro finito e solo allora, arriva puntuale a devastarmi.

Oltre a questo c’è anche un altro aspetto.

È ormai dal Novembre 2016 che lavoro all’INAF-OAPA/GAL-Hassin, Centro Internazionale per le scienze astronomiche di Isnello, paesino madonita della provincia di Palermo, e questo significa che vedo mio figlio solo per quindici giorni al mese, allorché torno a Bologna dove ho studiato, lavorato e vissuto negli ultimi anni.

Disegnare mio figlio cercando tra i tanti video che gli faccio quando sono a casa la posa giusta da riprodurre nel fumetto, mi fa sentire come quel cavernicolo che a Lascaux disegnava il bisonte sulla parete della sua grotta. Così facendo se lo propiziava, conquistava la sua preda, la “ipotecava”, quasi, creando un mondo possibile e parallelo in cui lui catturava il bisonte perché era ciò che già stava capitando lì, su quel mondo-parete, grazie ai suoi rudimentali strumenti da disegno e a una sorprendente maturità artistica. Disegnando il bisonte, il nostro lontano antentato lo aveva già fatto suo, lo aveva già catturato.

Bene.

Disegnando mio figlio standomene lontano da lui, sembrerà retorico, ma mi permette di conquistarlo, di farlo mio, di parlargli tenendolo vicino nonostante i circa mille e duecento chilometri che ci dividono (e trasformandomi così, da Squid Zoup, a Mammouth-Zoup, titolo dell’illustrazione d’apertura di questo articolo). Inoltre parlargli, nonostante in quei fumetti io gli stia raccontando qualcosa che lui a quattro anni non può proprio comprendere, mi consente di curare un’altra mia vecchia frustrazione: faccio divulgazione da tanto, oramai, e mi sono trovato spesso a raccontare l’astronomia a tanti bambini di tutte le età.

A un certo punto, tempo fa, mi sono detto che sarebbe stato bello spiegarla anche a un bimbo mio e non solo a bimbi altrui. Non è detto che Giovanni un giorno accetterà le mie narrazioni. Magari preferirà altro all’astronomia e alla scienza in generale e, nel caso, da padre a me starà di accettare senza drammi il suo disinteresse per le mie passioni.

In ogni caso, ora esiste un piccolo universo cartaceo e parallelo nel quale le cose stanno andando come desideravo: mio figlio si interessa a ciò che posso dargli, lo accetta di buon grado e si dimostra felice di trascorrere con me il breve tempo che prende raccontargli queste storielle epistemiche.

Forse un giorno tutto ciò mi dovrà bastare.

SZ

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