NON TI CONOSCO, MASCHERINA!
Alle volte mi sembra di essere una antenna impegnata a lanciare tutto intorno, senza averne coscienza, segnali che prima o poi dimostreranno di essere stati ricevuti da qualcuno lontano da qui.
Basta stare in orecchio per avere l’impressione che un tuo pensiero, anche se elaborato in un momento di silenzio, vissuto durante la quarantena, rinserrato nel tuo appartamento, sia stato accolto da qualcuno che proprio non conosci e che non puoi mai avere avuto modo di incrociare.
E così capita di avere la possibilità di sentire pronunciare dalla bocca di una faccia incontrata alla fermata dell’autobus che suono ha qualcosa che tu hai solo immaginato senza parole; oppure può capitare di vedere che aspetto ha un tuo pensiero puro se realizzato come disegno o foto in un manifesto pubblicitario; o puoi scoprire di che lettere avresti avuto bisogno se solo avessi deciso di renderlo articolo di giornale.
Ed è proprio in una di queste situazioni che mi sono trovato a vivere stamane leggendo un po’ dell’ultimo Domenicale: nella pagina dedicata a Scienza e Filosofia, in un bell’articolo – ancora una volta non si tratta di una recensione (in realtà, poi si scopre che lo è, ma in forma velata): va a finire che mi ascoltano davvero! – di Giorgio Vallortigiara, ho visto prendere forma di parole stampate alcune domande che mi ero posto pochi giorni prima.
Forse sbaglio a pensare di essere stato una antenna emittente: magari ho avuto solo il ruolo di antenna ricevente anche se, mi dico, se non da me, quell’idea che si è fatta strada nella mia testa da qualche parte deve essere pur partita. Ergo, se non sono stato io il pensante 0, qualcun altro deve esserlo stato.
E se quel qualcuno non è stato lo stesso Vallortigiara, nel leggere quell’articolo o magari nell’imbattersi in questo mio post, il vero pensante originario sospetterà proprio quanto ho pensato io: di avere lanciato nell’etere, senza volerlo, un suo pensiero (e così il cerchio si chiuderà): siamo tutti antenne che. pur solo immaginando, anche senza volerlo, anche se in silenzio, anche se al chiuso, emettono e ricevono segnali (?).
No, non sto proponendo un teorema. Si tratta solo di fantasie in libertà che non hanno nessuna pretesa di essere scienza. Sono solo sospetti, ipotesi; e null’altro.
Se invece è la scienza che volete, allora la trovate proprio nell’argomento di quel mio pensiero che forse ha viaggiato per finire nell’articolo del Domenicale, o che invece ha fatto il percorso inverso, dalla redazione di quel giornale fino a casa mia.
Un argomento il cui nome nell’articolo non viene mai esplicitato e che è conosciuto fra gli specialisti come pareidolia: processo del nostro cervello – allo studio del quale anche io, nel mio piccolo, ho provato a dare un minimo contributo scientifico – che si attiva allorché tentiamo di riconoscere forme note, come le facce dei conoscenti, in mezzo al gran caos di altre meno familiari o del tutto ignote.
Con quell’articolo, Vallortigiara aveva solo intenzione di dirci che, pur senza rendercene conto, da quando abbiamo iniziato a usare le mascherine vi è in atto un cambiamento importante nel modo di percepire il prossimo. Un cambiamento che dipende dalla riduzione al silenzio dei neuroni del nostro cervello deputati alla decodifica delle espressioni facciali e che ora non potranno lavorare sugli elementi delle nostre facce coperti da quei presidi medici divenuti tutto a un tratto tanto popolari.
Come l’autore in chiusura del suo pezzo scrive
(…) penso alla gente che guarda i volti coperti dalle mascherine, e a tutti quei neuroni siolenziosi, nella corteccia temporale inferiore. Certo aiuterebbe disegnare sulle mascherine l’elemento strutturale mancante, un simulacro di bocca, così da rendere festosi i neuroni delle facce.
La strana coincidenza di cui parlavo in apertura di questo post è stata che proprio una decina di giorni fa avevo appuntato su un file word un’idea analoga: avevo infatti intenzione di parlare in queste cronache di come sarebbe cambiata la percezione del prossimo in dipendenza del fatto che, dopo avere già in parte occultato il volto con occhiali da sole, con le mascherine esso non sarebbe stato più disponibile a farsi sottoporre agli sguardi altrui.
Immaginavo che, col tempo, avremmo quindi iniziato tutti, senza dichiararlo, a ritenere più importanti elementi del nostro aspetto fisico sui quali fino a due mesi fa nella maggior parte dei casi il nostro occhio si soffermava solo in-coscientemente: sopracciglia, orecchie, collo, capelli.
Ipotizzavo, quindi, che vi sarebbe stato molto più spazio per valutazioni del corpo nel suo insieme, del modo di muoversi, della voce, dell’odore;
che le divise avrebbero goduto di una nuova stagione di popolarità per il loro offrire facili e chiari appigli all’identificazione, se non della persona, almeno del suo ruolo sociale;
che, oltre alle mascherine personalizzate, avremmo iniziato a usare vecchi elementi di abbigliamento in modo del tutto nuovo, alla ricerca di una caratterizzazione, di una possibilità di distinguerci in una folla di indistinguibili tutti simili;
che in molti casi avremmo iniziato a esporre i nostri nomi stampigliati sul petto;
che i già popolarissimi tatuaggi, da puro elemento estetico, avrebbero assunto un’importanza capitale rendendo di contro, e per motivi del tutto analoghi, pure importantissimo il non averne.
A questo punto, lo dichiaro, e voglio proprio vedere se poi sbuca fuori da qualche altra parte: data l’importanza che altri sensi come l’olfatto e l’udito inizieranno ad avere rispetto alla vista che ora risulta essere meno capace difornirci appigli nel riconoscere le persone, ho immaginato che qualcuno avrebbe iniziato a fare mascherine capaci di donare una voce più bella di quella reale o che, addirittura, avrebbe preso piede la moda di fare la plastica alle corde vocali (si può?).
In conclusione, non posso che gioire nel notare come alcuni difetti potrebbero addirittura diventare vantaggi evolitivi: il mio lunghissimo naso collodiano risulterà riconoscibilissimo anche sotto una mascherina (che nel tentare di coprirlo assumerà la forma di una canadese)!
SZ