CRONACA VIRUS – Giorno 47

DA COMUNICARSI ENTRO E NON OLTRE IL

Oggi, sbagliando, sono andato a fare la spesa al piccolo centro commerciale vicino casa.

Ovviamente l’ho trovato chiuso, e così, dal momento che ero arrivato fin lì, ne ho approfittato per comprare il giornale all’edicola posta proprio di fronte alla sua entrata.

Ricordo la sequenza velocissima di pensieri: “M…a! È chiuso! Vero! Oggi è festa! Va bene, meglio così: non farò la fila e prenderò solo il giornale. Sì, ma se quel negozio è chiuso, perché c’è lo stesso la fila? Vuoi vedere che…”

“Scusi, ma questa è la fila per l’edicola?”

“Eh, già! Sono qui da un po’. Mi sa che da oggi in poi sarà sempre così…”

Allora mi metto anche io in coda, orfano di quella bella sensazione di libertà che per un attimo si era impossessata di me quando avevo realizzato che sarei stato costretto a rinunciare alla spesa.

Neanche il tempo di fare quella domanda al signore davanti a me che già alle mie spalle si erano disposte altre persone, evidentemente anche loro in attesa. Attesa di cosa? Perché siamo tutti lì? In fondo, Simone non vende mica beni di prima necessità come pasta, pane, vino, insalata…!

La risposta a questa domanda potrà forse sembrare banale, ma quando me la sono data, mi ha comunque colpito con la sua semplicità. Non me ne ero mai reso conto prima, e probabilmente non lo ritenevo nemmeno possibile: tutte quelle persone erano, come me, in fila per comprare la loro dose quotidiana di parole; la loro razione di concetti per uso personale.

Certo, ho sempre visto molta gente nelle librerie, ma ho sempre ritenuto, senza mai dirmelo, che chi frequenta quel genere di negozi faccia parte di una élite in qualche modo autoselezionatasi all’interno della folla di disinteressati a quei prodotti così faticosi come le idee e le argomentazioni ben… argomentate.

Idee e argomentazioni che non scadono facilmente perché ben protette dalla ghiacciaia del formato libro.

Oggi davanti a me vi era invece un pubblico più trasversale, eterogeneo, indistinto e la vista di tutte queste persone alla ricerca di parole e concetti freschi di giornata, magari da portare sotto braccio come una baguette per sentirsi completi, per sentirsi in equilibrio con il mondo e il proprio corpo, mi ha dato una bellissima senzazione.

Una preghiera laica sembrava emergere da quel corteo muto, composto e mediamente immobile in attesa dell’ostia di carta. Una preghiera che poteva iniziare così: “Simone nostro, che sei nell’edicola, dacci oggi i nostri concetti da leggere… quotidiani”

Una preghiera laica che, nonostante me, è stata capace di regalarmi fiducia: fintanto che le parole saranno così importanti, fintanto che i concetti saranno da consumare entro oggi perché poi ci sarà da far posto a quelli di domani, potremo sperare in un futuro sgombro da quelli sbagliati di oggi e dai problemi di cui a fatica ci siamo liberati settantacinque anni fa.

Una liberazione che, grazie alle buone notizie circa il timido arretrare dell’epidemia e alla prospettiva che presto saranno tutti liberi di circolare, credo sia stata percepita in modo più intenso che negli anni passati.

Una fortuna? Forse: un infimo esserino, privandoci proprio della presenza di molti anziani che costituivano la nostra memoria storica, ci ha dato un assaggio di cosa davvero possa significare un concetto così semplice da dire e così difficile da comprendere come “libertà”: un parola che spero non scada domani.

In pratica, il COVID sembra proprio averci voluto dire: “Non siete stati in grado di apprezzare, di comprendere fino in fondo i ricordi di chi c’era, giudicandoli di parte, retorici, annacquati. Ora fate voi. Ora tocca a voi: da oggi in poi, grazie al mio intervento, procederete con la vostra memoria comune che vi sto costringendo a creare. Vediamo che parole userete per tramandare ai vostri figli gli accadimenti di questo mondo”.

Sono passati settantacinque anni da quando ci siamo liberati della piaga nazifascista e, se non ci fosse stata l’epidemia, in questo Sabato soleggiato molti avrebbero visto solo la festa, la vacanza, la piacevolezza.

Allora sorge spontaneo chiedersi, terrorizzati, cosa ricorderemo quando di anni ne saranno trascorsi 100, 150, 200, …

Credo che, a emergenza finita, tutto dipenderà dagli edicolanti che sceglieremo, dalle parole che compreremo e dalla loro deperibilità.

SZ

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