CRONACA VIRUS – Giorno 14

                                     LA CULTURA É UN RESOCONTO?

Uno dei vantaggi offerti dall’abitare da tempo in uno stesso posto è che alla fine si conosce tutti, e tutti ti conoscono. C’è chi, proprio per questo, deciderai di scansare, di ignorare; e c’è chi, proprio per questo, deciderà, forse a tua insaputa, di scansarti, di ignorarti.

Se si riesce ad essere in buoni rapporti con chi nella zona davvero conta, sarai da considerare integrato: uno che, per le frequentazioni e per i dribbling che sa mettere in atto, merita di essere classificato fra coloro che (lì) sanno vivere.

É per questo che mi vanto di avere intessuto qui in zona diverse frequentazioni con quelli che qui hanno un ruolo fondamentale e tra questi c’è Simone, l’edicolante che lavora a duecento metri in linea d’aria da casa mia.

Fino a una quindicina di giorni fa lo incontravo nei fine settimana, quando sia di Sabato che di Domenica partivo da casa mia per andare a piedi a fare colazione lontano da qui, per poi passare da lui nel percorso a ritroso che prevedeva un’ultima tappa nel parco, dovrei buttavo dentro la testa la droga che lui mi passava.

Il Sabato da lui compravo il settimanale Robinson, la Mitologia per bambini che leggo con mio figlio ed eventualmente Le Scienze e Focus Junior: una rivista di divulgazione scientifica dedicata ai piccoli lettori nella quale da un annetto a questa parte viene puntualmente pubblicata una mia piccola illustrazione.

La domenica, invece, era dedicata al Sole 24 ore: un giornale che “sbucciavo” togliendogli la parte esterna di immangiabile economia per gustare il dolcissimo inserto il Domenicale protetto al suo interno

Il rapporto con Simone è negli anni diventato sempre più limpido, sempre più cristallino. La sabbia in sospensione che non ci fa sapere nulla delle vite di chi incontriamo casualmente, nel tempo si è poggiata e ora, guardando attraverso la fluidità della consuetudine, è possibile vedere senza possibilità di sbagliarsi su cosa poggiano i piedi della nostra frequentazione intermittente.

Essa si svolge stando sempre a due metri di distanza, con lui seduto dentro l’edicola ed io in piedi al suo esterno. Nei nostri incontri c’è spazio per l’ironia, lo scherzo, la lamentela o anche – perché no? – il breve discorso vacuo, quello utile a sancire che è festa e che possiamo permetterci di essere lievi e scanzonati.

Lui non si può certo dire che mi conosca, né io conosco così bene lui, ma la sua posizione gli dona un vantaggio su di me e su tutti i suoi clienti in quanto gli abbiamo tutti svelato la conoscenza dei nostri gusti in fatto di riviste e quotidiani: un elemento che nel mio caso credo mi definisca abbastanza bene e che sono felice sia diventato un tratto caratteristico della mia persona. Quello che immagino sia stato speso quando e se Simone ha mai affrontato con altri qualche straccio di discussione nella quale è venuto fuori il mio nome o la mia descrizione fisica.

Bene, da quando è iniziata l’emergenza, dovendo lui passare per andare al lavoro da questa strada dove abito, Simone mi porta a casa le mie riviste. Bussa alla porta, io apro, gli allungo i soldi e lui mette nella mia mano il malloppo cartaceo, la mia dose di letture fresche da consumare inframezzandole ai surgelati che ho nel freezer della mia libreria: in verità una ghiacciaia davvero capiente nella quale ho una scorta di carta stampata che mi potrebbe fare affrontare un intero inverno nucleare senza dover mai mettere il naso fuori.

La continuità di quelle letture, di quei “tranci freschi” – a suo tempo ho dato questo titolo alla categoria di articoli di questo blog con i quali intendevo recensire libri, articoli, spettacoli, dischi – mi ha così permesso di notare qualcosa che forse ad altri era già chiara da tempo, ma della quale non mi ero ancora coscientemente accorto.

Tutti gli inserti culturali dei giornali (dico tutti perché ogni tanto in alcuni bar ho potuto sfogliare anche quelli proposti dagli altri quotidiani) si sono trasformati in pagine di recensioni, appunto.

Non so quando tutto ciò sia accaduto; non so quale sia stato il momento esatto, se di un momento particolare si è trattato, in cui la trasformazione è avvenuta; l’istante esatto in cui è stato attivato lo scambio tra i binari lungo i quali correva veloce il treno del dibattio culturale. Probabilmente si è trattato di un processo graduale, soffice, dai tempi scala evolutivi che ricordano quelli biologici. Comunque sia andata, oramai mi sembra di poter affermare che la realtà sia questa.

Pare quasi che non si possa dire, pensare, litigare su qualcosa se prima qualcuno non ha deciso di rendere quel qualcosa libro, disco, opera, mostra, spettacolo.

Beninteso: la mia non è una lamentela, o perlomeno non lo è del tutto: essendo anche io parte di quella filiera di produzione, non posso certo dolermi di un sistema importantissimo, utile a diffondere la notizia della nascita di un coagulo concreto di idee che abbisogna dell’attenzione del pubblico.

Non posso però fare a meno di denunciare l’assenza di qualcosa per me fondamentale: il pensiero per il pensiero e slegato da logiche aventi a che fare sempre e comunque col prodotto, con l’oggetto, con qualcosa dal valore economico e magari dal peso materiale ben definiti.

Le pagine della cultura che ricordo nei giornali che portava a casa mio padre parlavano di concetti tout court. In quegli articoli, un esperto o qualcuno ritenuto tale si interrogava su un tema importante per il dibattito all’epoca contemporaneo (a volte diventava importante proprio a partire dalla pubblicazione di quell’articolo) e, pur essendoci in essi spazio per citazioni precise di opere già pubblicate e disponibili per la vendita, ad esse veniva affidata una funzione del tutto diversa: bisognava intenderle come indirizzi lungo la strada che avrebbe condotto alla comprensione definitiva dell’articolo e non, come sempre si fa oggi, come indicazioni di un GPS che ti accompagnano fino alla libreria, al negozio di dischi o al botteghino dove poter acquistare il libro, il CD, il biglietto.

Poter pensare slegando ogni tanto la mente dall’oggetto e dal già detto prima da qualcuno, facendo così credere che si possa parlare di idee solo a posteriori, solo quando grazie a un autore e a un editore esse sono diventate solide, credo fosse il polso di una grande libertà intellettuale. Un polso che nessuno prendeva perché non ce n’era bisogno, ma che oggi mi sembra allarmarci con qualche linea di febbre oltre oltre la temperatura normale.

In questa fase storica appena iniziata, le novità culturali in uscita hanno temporaneamente perso la loro appetibilità materiale. L’impossibilità oggettiva di recarsi a vederle appena nate nella loro culla d’ospedale dove alle volte complimentarsi con i genitori durante le presentazioni live organizzate in librerie, locali e centri culturali comporta che si pensi più all’idea del libro che non alla sua forma, al suo peso, al suo umero di pagine.

Forse, allora, proprio a causa dell’emergenza sanitaria, il concetto puro conoscerà una nuova stagione in cui rivendicherà il ruolo di protagonista assoluto della scena che gli spetta anche se, immagino, sarà qualcosa che, sempre che si verifichi, prenderà giusto il tempo necessario per consentire al mondo del mercato culturale on-line di riorganizzarsi.

Nel frattempo è probabile che ci sia spazio per un revival delle idee pure e della ragion pura che le genera. Quella che ogni tanto può e deve necessariamente trascendere dalle altre della ragion pratica, della vendita di prodotti che sono bellissime ma pallide approssimazione della prima.

Ed è così che, grazie alla consegna a domicilio del Domenicale di ieri ho avuto il privilegio di aggiungere un nuovo punto nel mio grafico dell’evoluzione della specie inserto culturale. Ho così modo di rivelarvi che l’osservazione del nuovo campione si è rivelata fruttuosissima in quanto mi ha consentito di assistere in tempo reale alla nascita di una prima gemma primaverile che fa ben sperare per questa timida stagione, per questo cambio biologico dell’editoria.

Il taglio basso di pagina IX, dedicata insieme alla VIII a “Scienza e Filosofia” (pagine che più di altre mi interessano e che quindi ho monitorato con maggiore attenzione negli ultimi anni), è occupato dal timido ma garbato articoletto di tale Nunzio Galantino intitolato “C’è buio, ma sorgerà la luce”.

L’ho letto, scoprendo così che non si riferisce a niente che non sia la semplice e pura analisi del concetto di buio e di tenebra. Sì, lo so: potrebbe essere considerata la metafora della recensione del tempo che viviamo (e in effetti lo è), ma è proprio quello che mi aspetto da un articolo di un inserto dedicato all’analisi del presente e non alla sua cronaca pedissequa.

Ho deciso di non proporvi qui il suo riassunto perché temo che se lo facessi, mi troverei a buttare giù un numero di battute confrontabile con quello di quel breve scritto, ma sono qui, gaudium magnum!, a dirvi… recensendolo, che esiste! Che è nato!

L’analisi del buio diventa forse scaturigine di nuove possibilità e rimanda veloci all’Erebo, al Tartaro di esiodea memoria dal quale si spera riemergerà una nuova, Gaia, entusiasmante stagione di pensieri in libertà: pensieri figli di Crono, figli del tempo che stiamo vivendo e che si opporrano all’opprimente onnipresenza del paterno (per noi autori) mercato con le sue regole invasive e Uraniche.

 

SZ

 

 

 

 

Lettere Divulgative a un Figlio Lontano – Un terzo bonus di 24 ORE di visibilità

Mammouth-Zoup

Nel Domenicale di domani, Domenica 17 Aprile 2017, dovrebbe esserci (a volte l’editoria riserva sorprese dell’ultim’ora…) di nuovo un mio fumetto intitolato “Un orologio… a tempo”. É la terza volta che capita, dopo il 29 Gennaio e il 26 Febbraio, e la cosa ovviamente mi gratifica, rimpinguando energie mentali che spesso mi vedono “in riserva”.

Quale occasione migliore, allora, per raccontare quale sia il mio modo di pormi davanti a questa opportunità? Quale momento migliore per capirmi meglio, descrivendo(mi), spiegando(mi) quale sia la strategia che ho deciso, più o meno consciamente, di adottare nel costruire queste brevissime storie domenicali?

In un primo momento, ho pensato al testo che segue come a qualcosa che potesse trovare spazio nel sito del SOLE 24 ORE, ma poi Alfredo Sessa, responsabile della pagina, mi ha fatto notare che, eccezion fatta per alcuni spunti di interesse più generale, il testo fosse così personale da risultare molto più adatto a questo mio spazio.

Se state leggendo qui queste parole è proprio perché non ho potuto fare a meno di scoprire, rileggendomi, che aveva perfettamente ragione.

Senza quindi indugiare ulteriormente in introduzioni varie, prefazioni, preamboli, fronzoli, ecco quanto scrivevo in preparazione dell’uscita di, si spera, domani.

Buona lettura, sempre che vi vada di leggerlo.

Prima di iniziare a disegnare le mie brevi storie per il Domenicale, ho dato un’occhiata preventiva a quanto fatto dai colleghi che mi hanno preceduto su quella pagina. Questa breve indagine ha fatto emergere un carattere ondivago, come è normale che sia, degli approcci comunicativi: quello è chiaramente uno spazio dedicato ai più piccoli, ma nel quale la volontà di coinvolgerli viene coniugata quando in modo “classico”, ovvero con disegni dal tratto ampio, dai colori distesi e dai testi diradati, quando con un tratto un po’ più adulto caratterizzato da una maggiore densità e spigolosità dei segni e testi più ambiziosi.

Tutto ciò mi è sembrato normale, anzi, è del tutto normale: a parte prevedibili e necessarie variazioni di approccio da parte dei diversi autori, l’obiettivo stesso del comunicare ai più piccoli, in assenza di una precisa indicazione su cosa “più piccoli” esattamente significhi, implica il parlare a un range di età abbastanza ampio nel quale anche solo una differenza di un anno comporta enormi variazioni nelle capacità cognitive dei bambini.

Conoscendomi e sapendo che, almeno fino a oggi, mi è stata e mi è più consona la comunicazione con un pubblico adulto, ho pensato di interpretare il compito di parlare ai minori facendolo in un modo indiretto: ovvero passando dalla comunicazione intermedia con i genitori ai quali suggerisco possibili argomenti da raccontare, oggi o tra qualche anno, con l’aiuto dei miei fumetti o meno, ai propri figli.

La tensione divulgativa mi è propria, ma dopo aver pubblicato la prima storia “Se solo i grandi guardassero il cielo” – che, tra le due fin qui pubblicate, è quella che definirei più “emozionale”, da contrapporre ad altre di carattere più divulgativo (es.: “Un preciso caccolo astronomico”, Il Sole 24 Ore, 26 Febbraio), “storico” (es.: fumetto per l’European VLBI Network) o “di ricerca” (es.: quella oggi presente nel Domenicale. Per una discussione più approfindita su queste categorie, cliccare qui), e nella quale, come precisavo nell’intervista fattami da Alfredo Sessa lo scorso 29 Gennaio, un concetto da passare c’è ma è più nascosto, da intravedere in filigrana – ricordo di essere stato invitato dall’allora responsabile dell’inserto a esplicitare nei miei fumetti qualche contenuto astronomico in più: era proprio questo che ci si aspettava da un fumettista che, come me, facesse capo all’INAF, Istituto Nazionale di Astrofisica.

Ovvio che, dopo questo invito esplicito, l’idea di pubblicare sul SOLE 24 Ore ha preso ad intrigarmi ancora di più, con l’effetto però di stabilire in modo definitivo, o quasi, quale fosse il livello minimo di complessità grafica e testuale sul quale io, col mio tratto e col mio modo di raccontare, potevo attestarmi: non è assolutamente impossibile spiegare contenuti astronomici ai più piccoli, anzi; ma potendo farlo, preferisco dire qualcosa di più, quindi parlare a bimbi più grandi e ai loro accompagnatori.

Il coinvolgimento dei genitori in questo processo mi diventa quindi fondamentale in quanto è soprattutto a loro che mi rivolgo, privilegiando i papà per il semplice motivo che lo sono anche io e che quindi sento di vibrare in consonanza con molti nella mia stessa situazione.

I temi che ho scelto di trattare sono decisamente soft e, mentre con L’istituto cileno Milenio de Astrofisica sto conducendo, sempre a fumetti, un’operazione di divulgazione di temi di Astrofisica più dura non disdegnando di inserire qui e là anche qualche semplice formula, nel Domenicale propongo temi di Astronomia osservativa condotta a occhio nudo, quindi qualcosa di più facilmente trasmissibile da padre in figlio anche se il padre (o la madre) in questione non è un astronomo.

Rendere Giovanni protagonista di queste brevi storie assume qui molte valenze: intanto mi coinvolge in modo tale da farmi “stare sul pezzo” in modo diverso, senza farmi avvertire la stanchezza per le innumerevoli correzioni che apporto in corso d’opera a testo e disegni, ma che poi, a lavoro finito e solo allora, arriva puntuale a devastarmi.

Oltre a questo c’è anche un altro aspetto.

È ormai dal Novembre 2016 che lavoro all’INAF-OAPA/GAL-Hassin, Centro Internazionale per le scienze astronomiche di Isnello, paesino madonita della provincia di Palermo, e questo significa che vedo mio figlio solo per quindici giorni al mese, allorché torno a Bologna dove ho studiato, lavorato e vissuto negli ultimi anni.

Disegnare mio figlio cercando tra i tanti video che gli faccio quando sono a casa la posa giusta da riprodurre nel fumetto, mi fa sentire come quel cavernicolo che a Lascaux disegnava il bisonte sulla parete della sua grotta. Così facendo se lo propiziava, conquistava la sua preda, la “ipotecava”, quasi, creando un mondo possibile e parallelo in cui lui catturava il bisonte perché era ciò che già stava capitando lì, su quel mondo-parete, grazie ai suoi rudimentali strumenti da disegno e a una sorprendente maturità artistica. Disegnando il bisonte, il nostro lontano antentato lo aveva già fatto suo, lo aveva già catturato.

Bene.

Disegnando mio figlio standomene lontano da lui, sembrerà retorico, ma mi permette di conquistarlo, di farlo mio, di parlargli tenendolo vicino nonostante i circa mille e duecento chilometri che ci dividono (e trasformandomi così, da Squid Zoup, a Mammouth-Zoup, titolo dell’illustrazione d’apertura di questo articolo). Inoltre parlargli, nonostante in quei fumetti io gli stia raccontando qualcosa che lui a quattro anni non può proprio comprendere, mi consente di curare un’altra mia vecchia frustrazione: faccio divulgazione da tanto, oramai, e mi sono trovato spesso a raccontare l’astronomia a tanti bambini di tutte le età.

A un certo punto, tempo fa, mi sono detto che sarebbe stato bello spiegarla anche a un bimbo mio e non solo a bimbi altrui. Non è detto che Giovanni un giorno accetterà le mie narrazioni. Magari preferirà altro all’astronomia e alla scienza in generale e, nel caso, da padre a me starà di accettare senza drammi il suo disinteresse per le mie passioni.

In ogni caso, ora esiste un piccolo universo cartaceo e parallelo nel quale le cose stanno andando come desideravo: mio figlio si interessa a ciò che posso dargli, lo accetta di buon grado e si dimostra felice di trascorrere con me il breve tempo che prende raccontargli queste storielle epistemiche.

Forse un giorno tutto ciò mi dovrà bastare.

SZ

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