Dai diamanti non nasce niente, dagli asteroidi nascono storie

Steroide

Steroide

Ormai è chiaro: ho una certa passione non solo per l’astronomia, ma anche, forse soprattutto, per le commistioni fa questa scienza e altro.

Con altro intendo una marea di ingredienti in buona parte contenuti nel menu di questo Blog consultabili in alto a sinistra in questa stessa pagina.

I tentacoli da calamaro delle mie passioni insaporiscono di continuo la quotidiana zuppa che mi preparo e questo fine settimana ho sperimentato fortunosamente una combinazione abbastanza sapida che vado a proporvi.

Avendo trovato in edicola lo Speciale Nathan Never n°25 intitolato Alla deriva, ho intuito subito, anche se la bellissima copertina non lasciava presagire con chiarezza nulla di ciò, che poteva trattarsi di una storia a sfondo astronomico.
Forse si è trattato davvero di intuito, forse l’ho solo sperato. Altra possibilità: ho vissuto una combinazione lineare di inuito e speranza che mi ha spinto a  sfogliare l’albetto a fumetti, scoprendo così di aver intuito/sperato bene.

Si tratta infatti di una bella storia ambientata su un asteroide della fascia posta tra Marte e Giove che comprende un bel po’ di questi oggetti. Una fascia attorno al Sole già teatro di avventure avvincenti come quella asimoviana oramai datata ma sempre avvincente di Lucky Starr alle prese con i pirati spaziali, giusto per fare un esempio.

Per chi non fosse così informato su Nathan Never, dirò che si tratta di un noto personaggio nato in casa Bonelli, la stessa di Tex, Mister No, Zagor, Dylan Dog e molti altri ancora.
Lo sfondo nel quale vengono ambientate le avventure dell’agente Never dell’agenzia investigativa Alfa è un futuro non così remoto che fa appartenere di diritto lui e il suo entourage al genere fantascientifico.

A disegnarlo sono in tanti, a volte direi troppi. Mi spiego: a differenza dei primi anni di vita di questo personaggio, quando vi era un pool di professionisti ognuno col suo stile originale e ben riconoscibile, negli ultimi anni ho avuto l’impressione che invece lì in casa Bonelli si sia privilegiata una certa uniformità di stile che mi risulta fastidiosa.

Vero è che quella casa editrice si occupa da sempre di pubblicare fumetti seriali e non d’autore, ma questa classificazione mi sembra assolutamente fuori luogo quando un mese ti trovi fra le mani un’opera firmata Casertano, un altro mese una disegnata con lo stile di Roi, di Freghieri o di Dall’Agnol… Non a caso, sto citando autori che lavorano (o lavoravano… non compro più così tanti fumetti come un tempo) a Dylan Dog, un personaggio che non mi ha dato mai l’impressione di piatta uniformità negli stili grafici.

Al tempo, era bellissimo farsi catturare dallo stile e dall’interpretazione di un mondo ben preciso, ma rivisitato, mese dopo mese, dagli occhi di maestri sempre molto diversi tra loro nell’uso di matite e chine.

Probabilmente mi sbaglio, ma gli ultimi artigiani che si occupano di Never mi danno invece l’impressione di appartenere tutti a una scuola ben precisa e riconoscibile. Esibiscono tutti una uguale gestione dei neri; spesso, per fare sfondi e grigi, utilizzano tutti lo stesso tipo di retini, e lo fanno nelle stesse situazioni.

Insomma, di solito arrivo in edicola, apro questi albi, guardo il segno grafico, richiudo l’albo e lo ripongo senza effettuare l’acquisto.

Sabato invece, oltre ad essere stato intrigato dal titolo che mi ha fatto ben sperare in un contenuto astronomico della storia, sono stato piacevolmente colpito dallo stile delle matite di Matteo Resinati, precisato dalle chine di Antonella Vicari, che mi ha convinto a comprare.

Beninteso: non amo nemmeno il tipo di disegno che ho trovato in Alla deriva e che continua a sembrarmi, pur discostandosi da quella media in modo abbastanza originale, un po’ troppo omologato a quello degli altri e che, ne sono quasi certo, deriva da qualche scuola, non so se privata o se interna alla Bonelli. Questo e l’ambientazione astronomica mi sono bastati per decidere di spendere i non pochi 5,50 euro che, nonostante tutto, mi sembrano davvero eccessivi per un albetto da 162 pagine e copertina morbida.

La storia scritta e sceneggiata da Giovanni Eccher oltre che bella, è interessante e, nonostante qui non si inventi nulla da un punto di vista narratologico (e non potrebbe essere diversamente: lo stile Bonelli impone che si stia in un solco abbastanza regolare, continuo e autoreplicantesi nei modi e nelle situazioni), mi ha condotto senza intoppi fino alla fine, regalandomi anche qualche intensa emozione.

In essa, il nostro eroe che si trovava su una astronave in viaggio di piacere nella già citata cintura di asteroidi per tentare di sventare un attentato dinamitardo a opera di uno dei soliti pazzi criminali e bombaroli, non riesce a evitare il peggio: di tutti i camerieri, cuochi, piloti e rappresentanti del jet set radunati lì a trascorrere una vacanza diversa dal solito, gli unici a sopravvivere nel moncone di astronave rimasto dopo l’esplosione, sono lui e la figlia di un ricco magnate del futuro.

Dopo una serie di manovre fortunose, Never riesce a far atterrare il relitto su un asteroide dove, per sopravvivere, entrambi i protagonisti si trasformano in contadini cosmici alle prese col problema di sopravvivere dei mesi così da concedere tempo ai soccorsi di esplorare i vari sassi cosmici alla ricerca di sopravvissuti.

L’espediente narrativo non è certo nuovo in fantascienza. La mia memoria corre a un breve racconto che ho letto da ragazzo, intitolato Naufragio al largo di Vesta – dopo Cerere, con i suoi 530 chilometri di diamotro medio, Vesta è l’asteroide più grande della cintura – e contenuto nel cofanetto Il meglio di Asimov.

In questo racconto giovanile di Asimov, si parla di tre persone sopravvissute in quello che rimane della loro astronave, la Silver Queen, a un impatto… nella fascia degli asteroidi!
Se la caveranno facendo uscire acqua da un foro nel serbatoio che ne conteneva una scorta bastevole per un anno, così da muovere la struttura in direzione opposta e farla approdare in un porto sicuro.

Detto per inciso, se a scuola facessero studiare così il terzo principio della dinamica, credo che tutti i professori otterrebbero una maggiore attenzione da parte dell’uditorio. Nel mio libro Pianeti tra le note ho sfruttato intensamente questo stratagemma, creando continue connessioni tra i classici della letteratura e i concetti scientifici che mi premeva spiegare.

Purtroppo non ho avuto modo di verificare quanto il metodo possa fuzionare perché, nonostante il mio intento fosse anche quello di aiutare gli insegnanti nel loro compito di rendere, tramite l’interdisciplinarietà, più fruibili alcuni concetti scientifici, alla maggior parte delle scuole pare non sia giunta la notizia dell’uscita della mia pubblicazione.

Tornando al fumetto Alla deriva, lì Nathan Never utilizza la pressione della birra fuoriuscita da alcuni fusti trovati nel bar dell’astronave come propulsore per far muovere il relitto in direzione dell’asteroide scelto come approdo.

Per quanto detto, composizione chimica del liquido usato (l’acqua di Asimov vs la birra del racconto di Eccher) e composizione dell’equipaggio (la scelta claustrofobica di tre uomini vs un uomo più una donna, soluzione che apre sapientemente a risvolti erotico-sentimentali) a parte, ho ragione di credere il fumetto bonelliano costituisca una chiara sponsorizzazione (diciamo così…) della storia di Asimov.

Nel caso io abbia visto giusto, come biasimare sceneggiatori e soggettisti?
Qui si tratta di uscire con una storia nuova al mese, dodici storie nuove all’anno…

Di Alla deriva mi è piaciuta moltissimo la componente agronomica.
La storia dell’astronomia è da sempre legata a quella dell’agricoltura. Alcuni legami sono assolutamente legittimi, altri non lo sono affatto, ma da quando mi interesso di astronomia e di storia dell’astronomia, non posso fare altro che trovare affascinante il “legame con la terra”, sia quella con la t maiuscola che quella con la t minuscola.

La mente corre subito al film La seconda Odissea del 2002 (quale migliore anno per continuare la storia di 2001, Odissea nello spazio? Peccato che il film, a mio modesto parere, non meriti più di una semplice citazione…) e a quel periodo felice durante il quale ho lavorato all’Osservatorio di Asiago. Lì tutti noi astronomi avevamo il nostro piccolo appezzamento di terra da coltivare e dava una grande soddisfazione prepararmi un’insalata usando gli ortaggi da me coltivati. Per non parlare del divertimento dato dal zappare facendo lunghe chiacchierate con Ulisse Munari, Alessandro Siviero e il tecnico Michele Roin.

Questo post sembrerebbe finito qui se non fosse che mio suocero, Angelo (ebbene sì, si chiama come me…) dal quale Domenica eravamo tutti a pranzo, ha comprato come sempre fa, il quotidiano La Repubblica.

In un post precedente ho già raccontato di quanto sia grato a questo quotidiano nella versione domenicale. In quella dell’altro ieri, non ho ravvisato particolari motivi per sentire così tanta gratitudine, ma una perla l’ho scovata ugualmente: a pagina quaranta vi era l’articolo Un orto ci salverà scritto da una certa Chiara Panzeri.

L’articolo non era particolarmente eccitante, ma solo perché, come per i fumetti Bonelli, non doveva esserlo. Vi si trattava di un problema che ultimamente va molto di moda e che fa presa sugli apocalittici informati: le previsioni disastrose sulla crescita demografica del futuro da coniugare con vari aspetti della realtà: dalla reperibilità delle materie prime, al lavoro; dalla crisi degli alloggi alla povertà crescente di molti strati della società; dall’inquinamento dell’aria al surriscaldamento globale, la tropicalizzazione di alcune aree geografiche e l’innalzamento del livello dei mari.

Nel pezzo della Panzeri, il focus era posto sul cibo e su come risolvere il problema di sfamare gli 8-9 miliardi di persone che si teme condivideranno presto le terre emerse. Sul finire, l’articolo apriva a una prospettiva capace di riproiettarmi nell’atmosfera che da poco avevo respirato col fumetto di Nathan Never. Infatti li la giornalista si chiedeva:

Dove andremo quindi a procurarci risorse alimentari che bastino per tutti? Magari sulla Luna. Per il momento, lo scenario appare improbabile, ma un primo esperimento la NASA lo sta tentando davvero. E se non per sfamarci dalla fame, piuttosto per amore della scienza. A Dicembre dello scorso anno, l’agenzia spaziale americana ha infatti presentato Lunar Plant Growth Habitat, un dispositivo progettato per contenere semi di basilico, rape e arabetta comune, che dovranno germogliare una volta arrivati a destinazione. Il kit è dotato di una serie di telecamere, per inviare alla base le immagini delle neonate piantine. L’orticello lunare vedrà il suo primo lancio – o almeno così pare – l’anno prossimo, nel 2015, quando si farà dare un passaggio dai concorrenti del Google Lunar XPrize, una competizione indetta dal colosso di Mountain View che promuove viaggi spaziali sulla Luna”

Ricordando che da tempo la fantascienza parla di colture idroponiche da realizzare altrove su pianeti e lune, i piccoli esperimenti sui cibi che la nostra Samantha Cristoferetti sta conducendo a bordo della Stazione Spaziale Internazionale e che quest’anno l’Expo sarà dedicato al tema dell’alimentazione, direi che gli ingredienti per credere che qualcosa di nuovo stia per accadere davvero ci siano tutti.

Mi aspetto una voce che, da un momento all’altro, esclami, terrificante:
“Il cosmo-pranzo è servito!” e mi consolo al pensiero degli ottimi tortellini alla panna, della vera bistecca e del radicchio a chilometri zero cucinati l’altro ieri da Teresa, mia suocera.  Per mia grande fortuna, quando entra in cucina, lei può ancora permettersi di non sapere  nulla di colture e agri-colture spaziali.

SZ

 

Sottofondo: Claude Debussy, Preludes & Image; pianoforte: Arturo Benedetti Michelangeli

http://grooveshark.com/#!/album/Claude+Debussy+Preludes+and+Image/7368767

Video su Vesta: https://www.youtube.com/watch?v=YSlEdE7zsgg

How Deep Is Your World?

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L’idea alla base di questa breve storia è di pochi giorni fa, ma credo si tratti solo dell’emersione di un pensiero finalmente compiuto che si è affacciato a puntate nella mia testa.

Un pensiero composto da vari tasselli che voglio svelare solo ora, approfittando del fatto che oramai avete già letto la storia.

L’immagine del cielo catturata da una macchina fotografica dopo una posa lunga un’intera nottata, restituisce un’aspetto inusuale delle stelle: a causa della rotazione terrestre attorno al suo asse, la loro luce va a impressionare il CCD disegnando piuttosto che punti, cerchi  luminosi centrati sul polo celeste.

L’accostamento tra l’aspetto inusuale di un cielo così pieno di anelli concentrici, il propagarsi nell’aria di onde acustiche grazie alle quali misuriamo la profondità di un pozzo oscuro quando, lasciatovi cadere dentro un sasso, contiamo i secondi che impiega a raggiungere il fondo e infine la propagazione di cerchi nell’acqua in seguito alla caduta in essa di un oggetto qualsiasi, sono gli elementi alla base dell’idea di questo fumetto.

In aggiunta a questi, uno ulteriore: la consapevolezza che spesso la Natura si dimostra frattale, quasi si sia accorta che le convenga replicare a scale diverse qualche meccanismo particolarmente efficace per ottenere il meglio da sé col minimo sforzo.

Ecco che i cerchi nell’acqua e la propagazione delle onde acustiche nel pozzo nero per antonomasia, quello cosmico, mi hanno stimolato l’accostamento con altri cerchi: quelli che si trovano all’interno di un tronco d’albero. Da essi risaliamo facilmente all’età della pianta, un procedimento che va sotto il nome di dendrocronologia.

Lanciato-low simmetrico

Sappiamo che l’ecoscandaglio non è esattamente lo strumento migliore per misurare la profondità del cosmo. Non è possibile lanciare alcunché così da fargli incontrare il limite estremo del nostro universo e, in ogni caso, quand’anche fossimo capaci di farlo, non vi sarebbe nulla, aria, acqua o altro mezzo propagatore, a trasmetterci il rumore dell’impatto (impatto? Col fondo dell’universo? Un giorno proverò a immaginarlo).

In effetti, una eco nel cosmo c’é, ma non è certo quella di un impatto, bensì quella di un’esplosione; un’esplosione muta. Trattasi di una eco termica, la cosiddetta radiazione cosmica di fondo, protagonista di un’altra storia che prima o poi forse racconterò (in parte l’ho già fatto. Si veda Addomesticare il Cosmo del 6/5/13).

Quella di una musica cosmica (o din rumore cosmico) che può rivelarci la grandezza del contenitore universale è un’idea antichissima che si è fatta strada fino ad arrivare finanche ai giorni nostri. Ne ho parlato tanto in alcuni articoli e conferenze, ma soprattutto nel libro Pianeti tra le note pubblicato dalla Springer. La storia a fumetti che ho pubblicato qui sopra – badate bene! – è solo una metafora grafica di quell’idea così affascinante.

Spero che troviate questa metafora comprensibile. Ho provato a facilitarvi le cose ponendo  quelle cifre che trovate vicino a ognuno dei 13 cerchi visibili nel cielo di Squid Zoup. Si tratta di diverse età del nostro universo che vanno dalla sua infanzia, ovvero da quando aveva solo 0,02 miliardi di anni (Giga years, Gy), agli attuali 13,82, cifra che ho posto a sinistra del cerchio più ampio, il tredicesimo.

Squid-lancia-low

13,8 miliardi di anni sembra proprio essere il tempo trascorso dall’inizio del cosmo fino a oggi. Un tempo lunghissimo che è stato misurato non certo tagliando un albero o lanciando pietre verso il fondo del cielo. In quella direzione lanciamo solo sguardi attenti e curiosi, in attesa di essere raggiunti da fotoni chiacchieroni e portatori di segreti di sicuro più interessanti di quelli contenuti negli archivi di Andreotti.

Un’ulteriore metafora rinvenibile nel fumetto è quella offerta dall’apertura progressiva delle linee divisorie poste tra le vignette della seconda e terza pagina. Nelle prime, vi è una curvatura maggiore, poi pian piano esse vanno diventando più rettilinee. Con questa rappresentazione, ho voluto provare a dare l’idea dell’espansione cosmica iniziata col Big Bang ancora in corso: in questo scenario cosmologico, sappiamo che l’universo si è espanso da dimensioni iniziali microscopiche fino a raggiungere quelle attuali dopo una storia meravigliosa durata ben 13,8 miliardi di anni.

Per la cronaca, nonostante la veneranda età, il nostro cosmo non manifesta nessuna voglia di frenare la sua espansione. Anche ora, mentre state leggendo queste parole, sta lievitando e, addirittura, pare stia pure accelerando.

Allacciate le cinture

SZ

Lanciato2-low

P.S.: ringrazio l’amico Giuseppe (Pippo) Vaccaro (http://www.hortusgiardini.it) il quale mi ha fornito altro cibo per analogie interessanti e che vanno ad accrescere la probabilità di avere altre idee in futuro.

Mi ha infatti segnalato l’opera di uno scultore che delle pietre, della musica e delle connessioni tra questi elementi e il cosmo ha fatto la sua ragione di vita artistica. Trattasi di Pinuccio Sciola

 

Sottofondo: Sarei tentato di scrivere How deep is your love (e alla fine l’ho scritto…), un notissimo brano dei Bee Gees che mi ricorda la mia infanzia e di cui ho chiaramente parafrasato il titolo.

Invece vi suggerirei di ascoltare il bellissimo suono delle pietre di Sciola nei tre video seguenti: