Una LUNA troppo POP

Selfing on the MoonPochi giorni fa, precisamente il 20 Luglio, ricorreva il quarantacinquesimo anniversario dell’allunaggio. Sì, parlo proprio di quel famoso passo compiuto da un uomo e che si è rivelato da subito essere un grande balzo compiuto dall’umanità intera.

O quasi. Immagino che già da quel 21 Luglio del 1969 sia partita la mania di pensare che fosse tutta una balla, che l’uomo sulla Luna non sia mai andato davvero. Pur non sapendo in quale istante esatto sia nata questa fola, possiamo datare con buona approssimazione l’inizio della sua diffusione al 1976, anno in cui venne pubblicato il libro di Bill Kaysing “Non siamo mai andati sulla Luna”.

Questo libro e la teoria in esso descritta ebbero un successo enorme, tant’è che ancora oggi chi fa divulgazione in campo astronomico si ritrova a dover difendere il dato storico dell’allunaggio dalle obiezioni, sempre le stesse, che puntualmente gli vengono opposte dal complottista di turno (ce n’è sempre almeno uno…) in visita a Osservatori e Planetari. Senza voler entrare nel dettaglio della faccenda che di sicuro è intrigante e che viene ben riassunta nella pagina http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_del_complotto_lunare, mi soffermerei su alcuni aspetti a essa connessi che trovo essere decisamente più interessanti.

In primis, mi attira la passione tutta umana per l’intrigo, la dietrologia, l’idea del complotto. Conosco bene questa passione per il semplice fatto, in quanto umano, di esserne affetto anche io e di avere lo stesso sentore, spesso una certezza, che molto della realtà ci sfugga perché artatamente occultato da chi ha interesse nel non farci sapere. Giusto per fare un esempio tra tanti, pochi giorni fa ricorrevano trentaquattro anni dalla strage di Bologna del 2 Agosto 1980 e ancora, a dispetto del lungo tempo trascorso, non si sa chi fossero i mandanti.

Al di là di casi come questo in cui è evidente come vi sia un gioco politico teso a insabbiare responsabilità di personaggi illustri, credo agisca nella maggior parte di noi una “emozionante malafede” capace di farci vibrare ancora di più quando supponiamo che chi sa qualcosa circa limitazioni della nostra libertà, ci tenga all’oscuro per privilegiare se stesso e una accolita di oscuri individui interessati al potere. In pratica, una specie di “nascondino” per adulti, mescolato a un surrogato di “sindrome di Stoccolma”.  Una mescola che ci fa indignare, ma anche appassionare alle storie di mafia, ad esempio.

Va da sé che nell’immaginario collettivo, essere tra quelli che invece sanno tutto di simili intrighi e che nascondono la verità agli altri debba donare emozioni ancora più forti. Con queste premesse, proprio non riesco a capire come mai io mi ritrovi spesso a dover difendere non solo il dato storico circa l’allunaggio, ma anche me stesso da sguardi, allusioni o addirittura accuse esplicite di non dire tutta la verità circa Luna e UFO (con, alle volte, anche il tema aggiuntivo che va sotto il nome di scie chimiche…), quasi io faccia parte di una consorteria cosmica, un “club” scientifico, astronomico, astronautico, astro-non-so-cosa del quale devo difendere i segreti.

Io, un 46-enne precario che va avanti a borse di studio e assegni di ricerca, a volte vengo guardato come depositario di un sapere quasi magico, occulto e occultato dietro dati, foto, video costruiti per non rivelare la verità: sulla Luna non siamo mai andati e gli UFO esistono, sono fra noi. Sì, perché diversi tra coloro i quali vengono in Osservatorio per sentire parlare di Astronomia, sono in realtà interessati a queste faccende e ti intortano con l’espressione facciale di chi vorrebbe dire ad alta voce “con me ti puoi aprire, ho capito tutto. Non sono come gli altri che si bevono le solite fesserie”. Puoi starne certo: prima o poi, durante la serata qualcuno ti chiederà: “Avete mai visto qualcosa di strano qui?”.

Pensando a simili cose, non ho potuto fare a meno di notare come la modernità ha fatto nascere, tra gli altri, un fenomeno che mi sembra abbastanza nuovo. No, non sto parlando del complottismo. Sono sicuro che, pur non avendo ricevuto a suo tempo un nome, o meglio, non avendo ricevuto questo nome, sia comunque qualcosa di molto antico; qualcosa che non aveva bisogno di ricevere l’investitura di un termine apposito per fare breccia nell’animo umano e, in definitiva, qualcosa che non aveva bisogno di un nome per esistere.

Parlo piuttosto di una sorta di dimostrazione tramite argomenti sociali. Mi spiego: la dimostrazione in matematica è un processo che, con una serie di passaggi logici, conduce a trovare un risultato sul quale, date le premesse, non si può fare a meno di essere tutti d’accordo. Leggendo la pagina wiki dedicata alla teoria che sulla Luna non siamo mai andati, si scopre che una delle tante obiezioni contro di essa, una obiezione così forte da costituire una specie di “dimostrazione per assurdo”, non fa leva su argomentazioni logico-matematico-fisiche ma sul fatto che nelle missioni Apollo furono coinvolte circa 400.000 persone. É un nuovo tipo di dimostrazione che nasce dall’esplosione demografica, dal controllo reciproco, dalla politica estera, dalla necessità di una Big Science e di una Big Technology, quasi si viva tutti in una continua ed enorme simulazione Montecarlo. Un modo di dimostrare “teoremi” che non poteva certo essere scoperto da Euclide o altri matematici dell’antichità: a quel tempo, a vivere su questo pianeta c’era una popolazione mondiale composta da poche decine di milioni di individui in tutto e minimamente connessa tramite lunghissimi ed estenuanti viaggi.

Gli anni delle missioni Apollo erano quelli della Guerra Fredda e la NASA non sarebbe mai e poi mai stata capace di costruire una messinscena come quella descritta nel film Capricorne one, senza che la cosa divenisse subito di pubblico dominio.

Un’altra dimostrazione sociale dello stesso tipo è quella che scaturisce dall’assurdità di pretendere, ad esempio, che tutte le persone come me, coinvolte in lavori scientifici e laureate in Fisica o Astrofisica, siano al corrente di alcune verità scomode. Se 400.000 persone che lavoravano alla NASA negli anni del programma Apollo vi sembra un numero molto, troppo grande di intimi tra i quali far girare un segreto, figuriamoci di quale potere di convincimento dovrebbero essere capaci i vari istituti scientifici mondiali per far tacere chi lavora per loro. Avrebbero da indottrinare e controllare non solo i dipendenti, ma anche e soprattutto i contrattisti a tempo determinato che, una volta perso il lavoro, non avrebbero più alcun vincolo e potrebbero raccontare a giornali, radio e televisioni il loro appetibile segreto.

Se fosse poi così facile accedere a simili informazioni, immagino avremmo un boom di iscrizioni a facoltà scientifiche (per inciso: gli studenti dimostrano di avere ben altre vocazioni…). In tantissimi intraprenderebbero questo genere di studi per tentare di conquistare posizioni lavorative che prevedono la conoscenza della verità su questioni alla Kazzenger.

Ed è questo il punto. Se quello di Fisici e Astrofisici (parlo di loro perché conosco meglio i loro ambienti di altri. Ovvio che il discorso possa essere applicato anche ad altre comunità di ricercatori) fosse una specie di club esclusivo, quasi un Bilderberg del complotto scientifico, allora per poter avere l’accesso e comprendere quel modo di vedere le cose, “basterebbe” decidere di fare un serio percorso di studi, universitario o privato, grazie al quale imparare i modi e la lingua di chi certe cose le fa. Come per ogni altra attività, verrebbe richiesto un certo impegno, quello che di solito i complottisti non vogliono profondere, ma poi si verrebbe ampiamente ripagati. Chiunque, anche senza raccomandazioni, famiglie potenti alle spalle e tutti gli addentellati politici di solito necessari  per entrare in logge di vario tipo, potrebbe far parte di questo circuito così poco esclusivo. Inoltre, e la cosa è abbastanza democratica, il capitale da investire per farne parte  sarebbe al massimo quello delle tasse universitarie. Solo quello. Perché non farlo?

In fondo, se dovessi decidere di abbracciare la teoria del complotto per diventare, oltre che un suo sostenitore, anche un suo fervente divulgatore, credo che sceglierei di combattere il sistema da dentro, quindi studierei le “armi” dei miei “avversari” sforzandomi di comprendere davvero cosa affermano per trovarne i punti deboli, se esistono. Omero docet: volendo espugnare Troia, Ulisse intuì cosa fare per farsi “accettare” dai suoi abitanti. Come è noto, si fece portare dagli stessi troiani dentro le mura nascondendosi in un enorme ex voto di legno a forma di  cavallo e, uscitone nottetempo, mise a ferro e fuoco una città che da fuori proprio non poteva essere scalfita.

Se qualcuno che di solito non si occupa di scienza volesse davvero farsi ascoltare da tutti, anche da chi la scienza invece la fa o da chi “la frequenta” assiduamente, avrebbe in un primo momento la fantastica possibilità di allinearsi studiando materie scientifiche (matematica, fisica, chimica, ingegneria aerospaziale, … ) così da riuscire in un secondo momento a disallinearsi con argomenazioni assolutamente pertinenti.

So che mi potrebbe esser rivolta la seguente obiezione: “Allora ci stai dicendo che la scienza è solo di chi la fa?” A dirmi una cosa del genere, è stato proprio di recente un collega musicista il quale ha aggiunto: “É come dire che anche la musica è solo di chi la fa”. Ovvio che mi guardo bene dal sottoscrivere una simile castroneria, anche se poi ci sarebbe da parlare a lungo di una certa deriva dell’offerta musicale generata proprio dal concetto che chiunque può fare musica.

Le decisioni circa ciò che della scienza ha a che fare con la società devono essere prese collegialmente: la gente deve poter scegliere cosa vuole e cosa non le piace. Proprio per questo, più che dei sospetti dei complottisti, c’è bisogno di una maggiore consapevolezza scientifica, quindi di una istruzione migliore, di scuole che sappiano impartirla e di persone che continuino a interessarsi seriamente di scienza anche quando la stagione delle interrogazioni scolastiche è finita.

In un paese che le statistiche danno tragicamente in coda al resto del mondo in fatto di istruzione scientifica, la democraticità dell’accesso al voto su questioni che non si conosce, pur rimanendo un sacrosanto diritto davanti al quale mi inchino, credo diventi una questione sulla quale tornare a meditare più volte.

Sì, perché studiare scientificamente la Natura è, a ben vedere, la cosa più in-Naturale che esista. Non c’entra il buon senso, non c’entra il credo, la fede e tutto ciò che invece entra in gioco in tante altre attività umane. Ciò che, come dicevo, fa della scienza la cosa più innaturale cui un uomo può sottoporsi è la frustrazione data dallo scoprire che proprio il buon senso, il credo, la fede e tutto il resto, è meglio che rimangano fuori dal laboratorio il più a lungo possibile. Sono programmi che girano sullo sfondo, nella testa di chi fa ricerca e che si spera si sia allenato bene a tenere disgiunti questi due piani di pensiero, quello personale e quello oggettivo.

Occupandosi di scienza, si impara a supporre di avere torto e, se non lo si fa, si troverà sempre qualcuno pronto a dircelo, dimostrandoci in poche mosse quanto si sia presa una imbarazzante cantonata. La differenza con il complottismo è evidente: per praticare quest’ultimo, basta imparare a supporre (e non a dimostrare) che sia la scienza stessa, stavolta, ad avere volontariamente torto.

Queste parole, lo giuro, non sono dettate da arroganza e rileggerle sortisce anche l’effetto di farmi sentire un po’ ridicolo: conosco bene i miei limiti e i ristretti confini del mio orizzonte scientifico. In ogni caso, credo che la vera arroganza sia pensare che si possa avere qualcosa di interessante da dire su argomenti che non si conoscono affatto. E questo dovrebbe far sentire ridicoli anche altri. Vuol dire che ci faremo assieme due risate.

Il complottista, forse un po’ annoiato dalla realtà – quella stessa realtà che non annoia mai chi decide di studiarne a fondo alcuni pezzi – ama l’intrigo perché capace di rendere la vita un luogo interessante anche senza avere passioni di qualsiasi tipo o senza l’ausilio di telescopi, microscopi, acceleratori, … Probabilmente è a ragione rancoroso nei confronti del poco tempo libero che non gli permette di approfondire gli argomenti che scopre tardivamente come appassionanti e, proprio per questo, sceglie di intraprendere quella che gli sembra una scorciatoia. Armato di acume, furbizia, buon senso e forse anche un po’ di esibizionismo nel voler essere colui il quale per primo urla “il re è nudo!”, getta nella società la sua idea aspettando di vedere se e come essa attecchirà.

Già poco più di un decennio dopo le prime scoperte astronomiche di Galileo, Francesco Bacone scriveva nel suo Novum Organum: Gli idoli della tribù sono fondati sulla stessa natura umana e sulla stessa tribù o genere degli uomini. É infatti falso affermare che il senso è la misura delle cose; anzi, al contrario, tutte le percezioni, sia del senso che della mente, sono in relazione all’uomo, non in relazione all’universo. L’intelletto umano è come uno specchio che riflette in modo irregolare i raggi provenienti dalle cose e che mescola la propria natura con quella delle cose, deformandole e corrompendole.

Aggiungeva poi: L’intelletto umano, quando abbia adottato una certa concezione (o perché ricevuta da altri e ritenuta vera, o perché soddisfacente), induce anche tutto il resto a convalidarla e ad accordarsi con essa. Anche se la forza e il numero delle istanze contrarie sono maggiori, tuttavia o non le considera o le disprezza o, introducendovi delle distinzioni, le rimuove e le respinge, non senza grave e dannoso pregiudizio, pur di mantenere inviolata l’autorità di quelle prime concezioni.  (…) Il medesimo modo è proprio di tutte le superstizioni, come l’astrologia, i sogni, le divinazioni, le maledizioni, eccetera; in esse gli uomini, compiaciuti di simili frivolezze, prendono in considerazione i casi che venno a buon fine, mentre trascurano e omettono di constare quelli che non vanno a buon fine (anche se sono molto più frequenti).

É ancora così. Infatti chi procede nell’analisi delle teorie complottiste (che, detto per inciso, presentano l’unico pregio di essere davvero falsificabili), pubblica la loro smentita sottoforma di articoli scientifici che però nessuno della corrente di pensiero opposta si prende la briga di leggere. Perché? Forse proprio perché sono articoli scientifici, quindi, oltre che difficili da intendere se non si è capaci di parlare l’idioma giusto, anche passibili di critiche in quanto scritti da persone appartenenti a quel famoso club degli scienziati. In parole povere, appaiono al complottista articoli scritti da persone istruite per coprire il mistero.

Insomma, non se ne esce e riscopro con Bacone che certi idola sono antichi di almeno quattrocento anni. Quasi quasi mi rassegno e faccio contenti gli amanti dell’intrigo.

Sulla Luna non siamo mai andati.

Noi no.

Loro, una dozzina di astronauti, sì.

SZ

Sottofondo: Wolfgang Amadeus Mozart – Clarinet Quintet in A major, K.581

I              Allegro

II              Larghetto

III              Minuetto

IV             Allegretto con variazioni

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