… PERCHÉ DI TANTO INGANNI I FIGLI TUOI?
Ieri sera la mia amica Sara mi ha inviato in posta privata un video in cui si vedono una decina di daini brucare l’erba delle aiuole di un parcheggio, lì tra le macchine ferme da chissà quando.
A girarlo sembra essere stato il papà di una famigliola di San Lazzaro (BO) che, bisbigliando per non far far scappare gli attori di quello spettacolo improvvisato, si sente nel video mentre segnala ai figli piccoli la posizione, sul quel palco inusuale, di protagonisti e comparse.
Tutti, anche io che guardo la scena in differita, trattengono l’applauso che vorrebbe invece scoppiare fragoroso davanti a tanta bellezza.
Volendo essere sempre un po’ malizioso – non certo nei confronti della mia amica, ma delle dinamiche che hanno portato quel video a essere condiviso così tanto da giungere fino a me – non sono del tutto sicuro che esso sia stato davvero girato in questi giorni e valuto la possibilità che si tratti invece di un classico filmato di repertorio.
Mi scopro comunque propenso a credere all’autenticità di chi afferma che sia un prodotto fresco della giornata di ieri per un paio di (per me) buoni motivi. Il primo: mi va di crederlo, mi fa bene crederlo e, credendolo, non ritengo di far male a chichessia.
Il secondo: a Chernobyl (“dopo averla citata nell’articolo di due giorni fa sul papa, parli ancora di quella città? Dai, Angelo, rinnovati!”) come a Fukushima accadde proprio qualcosa di simile: alcuni articoli pubblicati a Giugno 2019 per la cittadina russa e a Gennaio 2020 per quella giapponese, raccontano di come inviati e telecamere fisse rivelarono in quei luoghi una Natura di nuovo padrona: gli animali selvatici, vinta l’oramai atavica paura dell’uomo e dei suoi accessori, si sono avventurati là dove sapere della presenza del nemico radioattivo e invisibile ha tenuto lontani noi.
Di sicuro contaminati, quegli animali raccontano di un adattamento praticamente immediato della flora e della fauna alle nuove condizioni introdotte dalle nostre azioni; fanno registrare vite più brevi di alcune specie minute e una aumentata longevità di quelle di maggiori dimensioni; testimoniano l’esistenza un nuovo equilibrio che dimostra di funzionare benissimo (“e vissero felici e contenti”).
Un equilibrio che mi fa tornare alla mente due testi di sicuro importanti: il primo parla dell’evoluzione umana tra sviluppo delle armi da una parte, e graduale comprensione di come cibarci e curare le malattie che hanno afflitto la storia della nostra specie dall’altro;
Il secondo, invece è una specie di facetime applicato al nostro pianeta e tenta, sulla base di ciò che sappiamo, di fare uno schizzo, quasi un morphing della Terra per fconsentirci di farci un’idea di come potrebbe apparire il mondo senza la pressione antropica che ogni giorno esercitiamo, relegando in territori sempre più striminziti e angusti la Natura selvatica, la Palestina del pianeta.
In qualche modo, posso certificare che anche io ho una specie di video girato da me nel quale, in modo del tutto simile a quello inviatomi da Sara, si vede chiaramente la Natura farsi strada. La scena è stata girata Sabato scorso e, guardandola, mi si può vedere mentre vado a fare la spesa.
Già al mio arrivo al Centro Commerciale dove da anni mi servo – ci vado portandomi una tensione personale che in condizioni normali potrei valutare come di, diciamo…, 5 tacche? Ok, cinque tacche – mi sento diverso. Mi sembra tutto diverso.
La prima volta che due settimane fa sono andato lì dopo l’inizio dell’emergenza, lo stesso “video” faceva vedere un me stesso molto preoccupato e con una tensione da fondo scala valutabile in dieci tacche. Preoccupato sì, ma anche molto curioso di provare come ci si sente a interpretare la parte da protagonista dei film che ho sempre amato vedere.
L’altro ieri, invece, ero un me stesso sì preoccupato, ma con una tensione di sette-otto tacche. Risultavo già più adattato alla pressione psicologica di questo periodo; più pronto alla lunga fila da fare; meno meravigliato del poco traffico, del silenzio, delle saracinesche chiuse.
Una voce interiore mi ha suggerito: “tranquillizzati: pensavi di non poter nemmeno immaginare un mondo diverso da quello che conoscevi, e invece stai già riuscendo a trovare tutto abbastanza normale. L’importante ora è soltanto tentare di rimanere vivo più a lungo possibile per poter assistere all’arrivo del nuovo e apprezzarlo per quello che sarà”.
Proprio nel mentre il corpo degli animali selvatici di Chernobyl (“ancora? BASTA!”) e Fukushima, non vedendo la radioattività come noi non vediamo il virus, torna in Natura quasi a dirle “fa’ di me ciò che vuoi. Io ti assseconderò qualsiasi cosa tu deciderai di fare di me – il mio corpo, la parte di me che stupidamente sono portato a considerare quella meno evoluta, non oppone particolari problemi al consiglio di stare al sicuro dentro casa.
Il mio cervello, invece, quello che identificavo con la mia parte più evoluta (e, a questo punto, più stupida), mi manifesta una notevole prossimità alle dinamiche del mondo fuori e mi rassicura dicendo che “sì, dai. Oramai si può abbassare un po’ la guardia”.
La Primavera, prima che nelle cellule della mia pelle, delle mie gambe, della mia pancia, …, sembra essere in quelle encefaliche dove è arrivata facendomi gemmare le sinapsi e fiorire i neuroni. Un netto rincoglionimento alla luce del Sole.
Ascolto il canto delle sirene fuori che, più che a farmi portare dai comodi flutti di internet come il pavido e pallido epigono degli eroi omerici, mi invitano a navigare il mondo come un impavido Ulisse (ho finalmente trovato una falla nelle impeccabili narrazioni omeriche: non c’è nemmeno un verso che citi un virus qualsiasi! 🙂 ).
Quel canto mi invita a comportarmi come gli animali di Chernobyl (“Bastaaaaa!!!”) e di Fukushima, ma non devo abbassare la guardia: voglio ascoltarlo, ma lo farò con le cuffie tenendo ancora ben legato il mio corpo all’albero maestro di questa piccola imbarcazione domestica. A dire il vero, non ci sarebbe nemmeno bisogno di legarlo. Al momento decisamente più saggio della mia testa, dimostra di sostenere bene la progionia e sono propio curioso di vedere fino a quando resisterà.
Del resto, non dobbiamo dimenticarci che quello umano è il corpo dell’animale domestico per definizione: se gli si dà il comando giusto, lui, docile, si distende davanti al camino e attende fintanto che non (ne) avrà la vescica davvero piena.
Forse, caro Leibnitz, se tu fossi qui, scopriresti che il migliore dei mondi possibili non era né quello di prima, né quello di ora. Prevedo, invece, che lo sarà il suo aggiornamento che in queste notti si sta gradualmente installando sul sasso sul quale scorazzavamo occupando tutto lo spazio disponibile e lasciando ovunque tracce indelebili del nostro passaggio.
Bisogna solo avere un po’ di pazienza: qui dice “Attesa: calcolo del tempo rimanente…” nel mentre la rotellina del download gira senza ancora mostrare il risultato.
Dobbiamo attendere che si scarichi tutto e poi, giusto il tempo di riavviare il sistema, tutte le nostre preferenze finalmente avranno un nuovo valore.
SZ