VOX CLAMANTIS IN DESERTO
Non possedendo il filtro della fede, vedo solo le tinte reali di una foto comunque bellissima.
La guardo e mi convinco di avere colto finalmente ciò che è in quel luogo da molto tempo, ma che proprio non riuscivo a focalizzare per la costante presenza di rumore umano: persone di tutte le razze lì alla ricerca della sensazione di schiacciamento che da sempre pietre e tradizione riescono a donare.
Vedo un immenso stabilimento siderurgico oramai in disuso per mancanza di materia prima.
Vedo un’enorme forma circolare in duro marmo nella quale, dal canale di colata della bellissima via della Conciliazione, alla Domenica mattina effondeva in fossa il magma umano pronto a farsi condensare, solidificare dal fascino imponente di quel modello.
Dentro quelle pareti arcuate, materne e contenitive di anime colonnate, al settimo giorno la massa veniva plasmata facendole assumere per un paio d’ore la forma di un’idea antica e viscosa.
Allora, mistero della fede, la calca si faceva calco e poi, a funzione e fusione finita, si scioglieva in pace e rifluiva via di nuovo liquida da dove era entrata.
Di lì a poco, al passaggio da uno Stato all’altro, mutava ancora in tenue gas di persone-particelle disperse verso casa.
Vedere quell’impianto ora vuoto fa impressione.
Resta la bellezza architettonica, orgoglio dell’industria vaticana, ma al contempo, senza il contenuto umano che lo farebbe funzionare, essa assume il valore di un solido ossimoro: un meraviglioso ecomostro costruito in un delirio di vana gloria.
Mi ricorda quando un’immensa fabbrica dismessa, quando una centrale abbandonata che non produce più energia. Una Chernobyl di noialtri avvolta dal black out, nella quale ieri era possibile scorgere nitida, unico punto caldo in tutta quella caldera vuota e fredda, la singolarità nuda: il piccolo nucleo bianco e incredulo che si fa chiamare Francesco.
Sì, quella foto mi impressiona e lo sguardo oscilla tra la voglia di urlare “Bellissima!” e quella di ritirarsi in un silenzio atterrito.
Eppure, per quanto strano possa essermi sembrato vedere l’ostinazione di un singolo uomo lasciato solo a soccombere davanti alla statica indifferenza di marmi, acciottolato e cielo, una certezza si è fatta strada nella mia testa: sono sicuro di avere già visto quella scena più volte.
Sono addirittura certo di averla già vissuta in prima persona; di essere stato, mio malgrado e nel mio piccolo, papa in mezzo a una piazza analoga; di essere stato puntino bianco con gli occhi sbarrati sul niente; di avere ascoltato il rimbombo sordo del mio tenero tentativo di imporre una visione umana a un paesaggio che, gentile, l’ha contenuta senza minimamente curarsene.
Poi a un tratto capisco e sciolgo il nodo del deja vu intravisto:
lo sgomento estatico e affascinato che si legge in quella foto di ieri è lo stesso che si sperimenta stando in un osservatorio a scrutare un cosmo muto e introverso.
La vertigine che si prova guardandola, lo so per certo, è la stessa che fa vacillare mentre si sta a cavallo di un ciclotrone a frugare particelle nelle paradossali cattedrali nascoste in un nonnulla.
Guardandola e misurandola, da uomini e donne di scienza non facciamo altro che pregare la Natura di anticiparci l’evoluzione dell’epidemia di forze che infettano dal profondo la materia.
La stritolano con la gravità, la contaminano con radiazioni X e gamma, la isterizzano con intensissimi campi magnetici, la sciolgono con temperature estreme o la ammalano col più profondo dei geli.
Sappiamo che tutto sarebbe riassumibile e comprensibile se solo si conoscesse ogni volta l’esponente giusto, la vera pendenza di un tracciato epidemico che è sacro Graal di una religione attiva; un credo che non attende segni divini, ma li cerca.
Allora mi chiedo come mai lo sgomento degli uomini di scienza sia lasciato solo a loro che pregano sgranando rosari di dati tangibili, mentre quello del papa – quello di un altro uomo solo che è solo un uomo – viene condiviso subito dal mondo intero.
Se è di questo timore reverenziale della Natura che finalmente avete voglia, non limitatevi a chiederlo alla fede, ma accomodatevi pure nelle platee vuote della scienza.
Se è di quella bellezza austera e distratta del paesaggio di ieri che avete bisogno, non cercatela esclusivamente nelle piazze vaticane o nelle cupole delle chiese, ma accorgetevi definitivamente dell’enorme e desolata piazza cosmica; accomodatevi pure nelle cupole degli osservatori.
Se è di questo rispetto verso un essere invisibile – a tutti gli effetti un nuovo messia che c’è, eccome se c’è! – che attendevate l’arrivo, allora accorgetevi pure dei laboratori che, per non disturbare i vostri sguardi sensibili, preferite posizionati sul retro degli ospedali e nei loro scantinati.
Il papa è nudo.
Con lui, lo siamo sempre stati tutti e accorgercene ci fa benissimo.
SZ
Rimane un miscuglio di tinte non certo programmato, ma davvero perfetto. Portici vanitosi che, illuminati da filari di luci artificiali, occhieggiano solitari verso una piazza distratta: un calco
Sembrerebbe una metafora, e non lo è. E’ il raffronto, a tratti ironico ma sempre lucido, di come una evoluzione può dispiegarsi al contrario e divenire involuzione. E la domanda arriva: “Il Sig. Sapiens è veramente in grado di evolversi? La sua evoluzione porta comunque all’autodistruzione, se non altro perché questo è il codice universale iscritto nel DNA dell’Universo? Il Respiro cosmico va avanti per flussi di aria che va ciclicamente rinnovata.
Bene. Forse siamo arrivati al punto zero, laddove la inspirazione cede alla espirazione. O viceversa.
Ciao, Angelo! Intanto buona Domenica e grazie per il commento!
Come forse avrai letto nei precedenti articoli, concordo perfettamente con te sull’impossibilità di evolvere in modo da sorprenderci, in modo da sconfessare del tutto ciò che siamo sempre stati. Il nostro comportamento è scritto nel nostro codice gentetico esattamente come lo sono la nostra altezza e il colore dei nostri capelli però. Però qualcosa di davvero strano, un vero e proprio cambio di direzione, credo possa essere imposto (funzioniamo solo per imposizioni, noi) da questa emergenza, da questo immenso problema da capire, studiare, risolvere, ma anche da usare come occasione.
Basta accrogerci che, a ben vedere, a parte la sempre disponibile scelta di abbandonarci a corpo morto al corso degli eventi, niente e nessuno ci sta offrendo un’alternativa percorribile.
A presto! 🙂
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