L’assolo di Stan Getz sugli accordi di O grande amor fa parte di quella lunga serie di idee che hanno condizionato il mio modo di intendere la musica in generale e il jazz in particolare.
Contenuto in un disco storico, lo ascoltavo quando capitava di andare a casa dei miei zii Francesco e Ornella. Lui aveva una collezione invidiabile di LP dalle bellissime copertine e Getz-Gilberto era uno dei suoi, quindi dei miei, dischi preferiti.
Come si evince facilmente dal titolo, in quel vecchio 33 giri suonava il sax del musicista statunitense il quale ricamava incredibili melodie impiegando solo una frazione del fiato da lui insufflato nello strumento. Il resto finiva tutto ai lati dell’imboccatura – almeno questa è l’impressione che ancora mi regala l’ascoltarlo – dando alle note del suo tenore un’”aura d’aria”, un “soffiato” che ne addolciva ulteriormente il suono.
Sulla scorta dell’entusiasmo che quella registrazione mi aveva suscitato, ho ascoltato altri dischi di Getz e uno, quello registrato in duo con Bill Evans dal titolo enigmatico (Stan Getz & Bill Evans), l’ho pure comprato a scatola chiusa: due nomi del genere non potevano che essere garanzia di goduria uditiva!
Ho così scoperto che la magia del suono e delle idee di Getz sono per me contenute solo in quel primo disco con Joao Gilberto alla voce e alla chitarra, Antonio Carlos Jobim al piano e con la voce aggiuntiva di Astrud Gilberto. Negli altri suoi LP, il mondo di Getz non mi piacque affatto e il mio rifiuto per la poetica in essi contenuta mi faceva risultare il suono di quel sax acidulo, addirittura. Mi ricordava quello grezzo e immaturo di un sassofonista classico alle prima armi, quindi non certo meritevole di un ascolto prolungato.
Come si può intuire, il problema stava in me e non certo nel modo di suonare di Getz anche se credo che mai come in quel disco, la grandezza di un musicista si sia rivelata essere il frutto non solo della sua personale genialità, ma soprattutto dell’incontro fortunato con altre menti, con altri pensieri affini al suo quali di sicuro sono stati quelli dei sudamericani su citati (Getz aveva una certa predilezione per le atmosfere bossa nova).
A rendermi difficile accettare altri suoi dischi che non fossero quello, vi era anche l’unicità dell’atmosfera gioiosa di molte domeniche con nonni, zii e cugini (da quegli ascolti sono nate professionalità nella musica per ben tre di noi nipoti…) di cui Getz-Gilberto era spesso colonna sonora. Evidententemente gli altri lavori di Getz presentavano tutti lo stesso problema: non erano presenti in quella particolare discoteca, disponibili per sottolineare grandi abbuffate condite da risate e chiacchiere rilassate. Capitava spesso che i sottofondi musicali di quelle Domeniche fossero brani di musica classica (di alcuni di essi parlerò prossimamente) per i quali, guarda caso, vale lo stesso discorso fatto fin qui a proposito di Getz/Gilberto.
Qualsiasi sia stata l’origine della magia nata attorno a quell’LP che ho ascoltato fino alla noia, ancora oggi risulta per me così tanto importante da voler iniziare una nuova rubrica di aforismi musicali del mio blog proprio con quelle note.
Tempo fa trovai un libro con le trascrizioni di alcuni assoli di Getz e, con mia grande sorpresa, scoprii che molte erano tratte da brani contenuti nell’LP citato. Mi sa che in futuro proporrò altri pensieri getziani prendendoli da lì.
Purtroppo tra i brani di quel disco scelti dal trascrittore, non vi era O grande amor, il mio preferito, ed è per questo che mi sono sentito chiamato in causa: dovevo colmare una lacuna facendo l’esercizio che tutti i didatti dicono essere fondamentale per la formazione del giovane jazzista (chiaramente qui si parla di me…).
Ho anche un altro bellissimo ricordo connesso con O grande amor. Moilti anni fa, giravo con un gruppo di Bari che proponeva un repertorio interamente brasiliano. Paola Arnesano ne era la bravissima cantante e ad accompagnarla, oltre me all’armonica, c’erano Guido di Leone, chitarrista col quale ho registrato My Foolish Harp (RED RECORDS, 2009) e l’ultimo The Night Has A Thousand Eyes (Fo(u)r, 2014); Paolo Romano al basso elettrico, Michele Vurchio alla batteria.
All’epoca proposi di aggiungere anche questo brano di Jobim al già nutritissimo repertorio di Paola e Guido. Accettarono di buon grado e così coronai il sogno di suonarlo e di farlo nel contesto giusto, sperando ogni volta (invano) di essere capace di creare con la mia piccola cromatica una magia degna di quella di Getz.
In O grande amor, il suo tenore sembra quasi suonare un’improvvisazione tematica, andando a costruire una linea melodica che definirei “necessaria”. Mi dà quasi l’impressione di essere in presenza di un brano nel brano: un pensiero musicale così lucido e pulito da riuscire a competere – forse vince, addirittura – con la bellezza del tema propriamente detto.
Nonostante sia una linea molto semplice da suonare, si scopre che rendere con una trascrizione le reali intenzioni del solista sia cosa per nulla banale. Si considerino pertanto le note che ho trascritto soltanto come una traccia utile per provare a suonare a unisono con il grande Stan Getz usando uno strumento in C come la mia armonica cromatica.
L’intero brano è da suonare attuando un lungo legato tra note e frasi. Mentre sul sassofono e su tutti gli altri strumenti a fiato è un effetto abbastanza facile da ottenere in quanto le dita selezionano di seguito le note ponendole su un’unica, lunga emissione d’aria, sull’armonica risulta molto più difficile, a tratti impossibile, a causa dell’alternanza di note soffiate e aspirate che spezza il flusso d’aria. Altra raccomandazione: meglio non provare a suonarlo in presenza di figli piccoli, specie se muniti di trombetta. 🙂
SZ
http://it.wikipedia.org/wiki/Stan_Getz
Album: Getz/Gilberto
http://grooveshark.com/#!/profile/Stan+Getz+and+Jo+o+Gilberto/22192087