Sull’ispirazione fornita dai fenomeni astrofisici

Yin-e-Yang-

Qualche anno fa fui invitato a scrivere su una rivista on-line all’epoca neonata, fondata su iniziativa di Pietro Greco, uno dei più importanti giornalisti scientifici del nostro paese e autore di moltissimi libri di divulgazione. Conosco Pietro dal 2001, anno in cui iniziai a studiare al Master in Comunicazione della Scienza della S.I.S.S.A. di Trieste dove lui insegnava e un simile invito non poteva non trovarmi sostenitore entusiasta dell’iniziativa.

La rivista andò abbastanza bene per un paio d’anni, poi prese a dimostrare segni di cedimento dovuti, credo, al diradarsi dei contributi che noi redattori esterni fornivamo alla redazione. Decelerando progressivamente, arrivò poi a fermarsi del tutto consentendo comunque di leggere i contributi pubblicati in quei primi due primi di vita.

Oggi, con mio grande rammarico, ho scoperto che a quell’indirizzo non esiste più alcuna rivista. Lasciando da parte considerazioni banali, ma non per questo meno vere, sul perché intristisca la fine di qualcosa e su come questo però rappresenti l’inizio di qualcosa d’altro e bla, bla, bla, mi trovo a non aver più in rete una traccia, quella traccia, di quello che facevo in quel periodo.

Poi mi ricordo di avere un blog dove forse quegli articoli, regalandogli una nuova coordinata, possono tornare a vivere offrendomi una maniglia alla quale tenermi per sopportare gli scossoni di un viaggio spesso difficile: quello a ritroso nel mio tempo passato. E allora che faccio? Li ripubblico.

Non so se lo farò con tutti, ma uno almeno lo pubblico di sicuro. Lo scrissi nel Giugno 2010, quindi l’anno dopo essere stato all’INSAP VI, edizione veneziana del 2009 di un congresso sull’ispirazione fornita dai fenomeni astrofisici. Lì presentai nella sezione Poster i miei due libri usciti proprio quell’anno: Pianeti tra le note (Springer) e Storie di Soli e di Lune (Giraldi, Bologna). L’occasione per la ripubblicazione di quell’articolo mi arriva dal fatto che l’altro ieri scadeva il termine ultimo per la presentazione di possibili temi di cui parlare alla prossima edizione che si terrà ad Agosto a Londra.

Ho inviato ben tre abstract e spero davvero ne accettino almeno uno…

Case study: L’INSAP VI

Applicazione di un possibile metodo astrofisico-sociologico a una iniziativa culturale tra arte e scienza

Questa illustrazione è stata pubblicata per la prima volta sulla rivista "Le Stelle" nell'anno 2012

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Da diversi anni, esattamente dal 1994, anno della prima edizione che ha avuto luogo in due sedi vicine, Roma e stato del Vaticano, alcuni studiosi “trasversali”, si incontrano al congresso denominato INSAP, acronimo che sta per INspiration from Astronomical Phenomena.

Come già si può evincere dal nome, con questo appuntamento gli ideatori si proponevano di fare il punto su quelli che sono stati, che sono e che potrebbero in futuro essere i rapporti tra il mondo umanistico – mondo che ospita quello storico, quello religioso, nonché tutti quelli relativi alle arti – e il mondo dell’astrofisica e della cosmologia. Questo per capire in che misura lo studio scientifico dell’universo – con le suggestioni tipiche che scaturiscono dal confronto tra la scala umana e quella di oggetti, tempi e dimensioni cosmiche – può andare ad incidere sul nostro agire qui ed ora, quando usiamo altre modalità espressive altrettanto importanti di quella scientifica.

Di rimando, diventa interessante anche studiare il moto di ritorno, quasi un rigurgito culturale, che fa sì che le nostre elaborazioni di solito riguardate come più genuinamente umane, abbiano una certa incidenza nella direzione che alcune ricerche scientifiche prendono.

Fin qui tutto interessante e, a mio parere, assolutamente necessario.

Dopo tanti anni durante i quali ho sognato di prendervi parte, nello scorso Novembre si è finalmente realizzato il mio vecchio proposito di presentare in questo contesto il frutto delle mie personali indagini. Si sa: da cosa nasce cosa, e la mia partecipazione al congresso, oltre a divertirmi molto, mi ha fornito anche l’occasione di studiare da dentro, e di resocontarlo con questo articolo, lo strano oggetto INSAP che proprio a Venezia ha conosciuto un incremento inflazionario del numero di partecipanti rispetto quelli intervenuti alle cinque edizioni precedenti.

Un successo tale da convincere gli organizzatori a inaugurare con il 2010 una nuova stagione annuale del congresso, interrompendo così la cadenza triennale che l’aveva caratterizzato fin dalla sua nascita avvenuta a Tucson, durante una chiacchierata informale tra Ray White dell’Università dell’Arizona, padre George Coyne, oggi ex direttore della Specola Vaticana, e Rolf Sinclair, della National Science Foundation americana, all’epoca riunitisi per una quantomai proficua colazione mattutina. Inutile dire quanto fossero interessanti molti degli interventi che ho potuto seguire dal vivo a Venezia. Per chi fosse interessato, è possibile farsene un’idea leggendo titoli e relativi abstract all’indirizzo: http://www.insap.org/.

In vista del prossimo appuntamento di Ottobre che, dopo Roma-Vaticano, Malta, Palermo, Oxford, Chicago, Venezia, vede il congresso tornare in terra inglese, a Bath, mi preme invece raccontare una particolare impressione che ho tratto dall’osservazione di insieme del gruppo di studiosi e di curiosi riunitosi all’interno del meraviglioso palazzo veneziano sede dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti.

Oltre a un certo numero, direi non troppo elevato, di avventori occasionali, lo zoccolo duro costituito dalle persone che a vario titolo hanno preso parte fattivamente all’operazione con interventi orali ed esposizione di poster, sarà stato composto da più o meno un centinaio di persone. Denunciando da subito una (spero) perdonabile deformazione professionale, ho riguardato da astronomo questo gruppo, quasi fosse un cluster compatto, cromaticamente abbastanza omogeneo. La distesa di teste bianche era notevole, direi la quasi totalità, e molte di esse, come c’era da aspettarsi per una banale questione di convenienza chilometrica, erano teste italiane.

Esse provenivano per la maggior parte da atenei che, quando non osteggiano apertamente questo genere di commistioni culturali tra ambito scientifico e ambito umanistico-artistico, si limitano a non promuoverle affatto e/o a relegarle in piccole iniziative minori, laterali rispetto al corso degli studi “seri”. La comunicazione subliminale che scaturisce spontanea, come effetto secondario e forse non previsto, da un simile atteggiamento, è che viene suggerita la sola pratica dilettantistica di simili studi a meno che ad occuparsene non sia un professorone blasonato al quale, raggiunto un elevato livello di credibilità nella materia x, è consentito honoris causa di essere altrettanto autorevole in y, z, r, v, …

Tornando alla mia esperienza veneziana, osservando un ammasso così compatto di personaggi-stelle anziane che emettono teorie di così ampio respiro, mi è venuto spontaneo cercare attorno a esse studenti-pianeti nelle cui teste, simili teorie potevano avere preso a vivere e a nutrirsi di nuovi elementi per andare a costruire il futuro dell’INSAP e di questo degnissimoo filone di ricerche, in generale. Gli astrofisici lo sanno bene: dove vi sono stelle vecchie e stabili, è molto probabile che nel loro intorno si sia potuto formare qualcosa che abbia a che fare col fenomeno della vita così come noi la conosciamo, perché proprio noi, abitanti del pianeta Terra, legato a una stella di lungo corso come il Sole, ne siamo la prova.

Bene, l’osservazione da me condotta non ha portato a risultati incoraggianti: attorno a queste teste-stelle bianche dalla posizione accademica stabile e inattaccabile, non c’è molta vita, anzi, se ne trova pochissima. Sarà un problema di fondi, sarà un problema dovuto all’epocale, presunto dissidio tra ragione (scienza) e sentimento (tutto il resto), fatto sta che i giovani erano un insieme povero di elementi e, tra quei pochi, pochissimi (ricordo solo una ragazza inglese) seguiti dai loro docenti per lavorare su queste tematiche. Tra i giovani, anche due italiani, Enrico Maria Corsini ed Elena dalla Bontà, due ricercatori dell’Università di Padova che, pur non avendo presentato ricerche in stile INSAP, hanno almeno dato prova di grande apertura mentale e di grandi capacità organizzative: a loro infatti va il riconoscimento per avere organizzato l’opportunità veneziana della scorsa edizione.

Gli interventi che ho potuto ascoltare – tutti, per motivi diversi, estremamente interessanti – e le metodologie seguite nel raccogliere i “dati” esposti, non sempre ma spesso avevano, a mio parere, molto poco di scientifico e, al solito, presentavano un carattere che definirei umanistico, quando non romantico, addirittura. In questi casi mi è parso che a mancare fosse quindi una cosa fondamentale quale un appropriato, largamente condiviso – perché dimostratosi funzionale – ed usato, metodo di indagine che tenesse conto, ad esempio, di quanto viene fatto in ambiti simili come la sociologia, l’antropologia e tutte le scienze morbide le quali stanno dando tanto a quel modo di gettare sguardi sul mondo che ancora non riesce a passare da quantificazioni esatte come quelle offerte dalle scienze cosiddette dure.

Per elaborare questo metodo ritengo che sia innanzitutto necessario, come è ovvio, possedere una grande conoscenza di quelli che sono il mondo scientifico (nel caso dell’INSAP, almeno della parte fisico-astrofisica) e il mondo umanistico e dell’arte intesa in senso lato. Ma sono altresì sicuro che questo possa comunque non essere abbastanza. Per affilare davvero le armi e affrontare come si deve queste come tutte le altre problematiche, ci vogliono corsi universitari, studenti che pretendano attenzione da docenti preparati a seguirli su queste vie impervie, crescendo anche loro in conseguenza del dover rispondere a nuove domande; ci vogliono possibilità per questi studenti del futuro di affrontare tesi di laurea su simili tematiche; ci vogliono appropriati dottorati e master; è necessario che vi siano riviste di settore che adottino una qualche forma nuova e adatta di peer-reviewing; ci vogliono competenza, responsabilità, militanze artistico-scientifiche, possibilità e volontà dei presidi di facoltà di assumere artist in residence. Infine, last but not least, ci vogliono fondi.

Essendo l’INSAP, per sua stessa vocazione, un contenitore sospeso tra scienza e arte, nel denunciare la mia difficoltà nel discernere un metodo condiviso e condivisibile di indagine usato nella maggioranza delle teorie in esso esposte, e riscontrando invece un’ampia gamma di strategie a mio parere spesso contingenti, anche se di sicuro molto interessanti, ne ho proposto uno da applicare proprio all’analisi del contenitore stesso, mutuandolo da una pratica scientifica, quella astrofisica, che invece si muove lungo le linee di un paradigma che finora ha dimostrato di funzionare bene.

Forse, anzi, ne sono sicuro, il mio non è quello migliore, ma sono sicuro che usare come metodo almeno quello che passa dall’istituzionalizzazione di questi studi, possa contribuire a trovarne diversi altri, stimolando una discussione epistemologica a mio parere oramai necessaria. Prova ne sia il fatto che, tra tutti gli altri, gli interventi di tipo storico presentati al congresso, spiccavano tra tutti per l’elevato grado di analiticità usato, forse conferitogli dalla oramai antica e affinata pratica storiografica che non è affatto estranea all’uso di metodi socio-antropologici, se non addirittura matematici, quando disponibili.

Il mio sospetto è che questo livello superiore di incisività analitica, al di là di tutto, possa essere fatto risalire anche al fatto che l’insegnamento della storia dell’astronomia è entrato di diritto a far parte delle materie di studio universitario e prevede la possibilità di dare tesi, vincere dottorati, borse e assegni a chi decide di proseguire su questa strada. Una strada, quindi, da percorrere se si desidera svecchiare velocemente concezioni divenute stantie.

Questo perché l’INSAP non diventi solo l’occasione per il ritrovarsi di vecchi professori che, dopo una lunghissima militanza costellata da pubblicazioni giustamente soggette al rigoroso vaglio della comunità scientifica, continuino a parlare dei nuovi argomenti usando, alle volte abusando, modalità inevitabili in una fase pionieristica che – i tempi sono maturi per farlo – sarebbe bello lasciarci alle spalle.

Questo perché attorno alle teste-stelle bianche che emettono teorie scientifico-artistiche ancora trattate con un forte e, per il momento, ineludibile “metodo” umanistico, si possa trovare la vita: piccole teste nere, bionde, rosse abitate da nuove idee su come affrontare anche scientificamente – qualsiasi cosa questo vorrà dire – i rapporti tra astronomia e il resto, tra scienza e arte.

SZ

Sottofondo: Miles Davis and John Coltrane: the Complete Columbia Recordings

http://grooveshark.com/#!/album/Miles+Davis+And+John+Coltrane+The+Complete+Columbia+Recordings+1955+1961/3375781