PIANO DI EVACUAZIONE
Fila sotto il sole davanti al piccolo supermercato vicino casa mia; una geometria alquanto improbabile che si snoda tortuosa nel piccolo piazzale da sempre abbastanza animato: infatti, oltre ai vari clienti dell’edicola adiacente, siamo da sempre abituati a vedere diversi nullafacenti seduti sui muretti attorno a chiacchierare, nonché intere famiglie di senza casa che lì spesso stazionano.
La fila procede lenta e, come è ovvio che sia, si entra scaglionati, uno per volta. Quando finalmente una signora riesce a entrare nello stabile, mentre tutti stiamo per fare il fatidico passetto in avanti – un piccolo passo per una signora, un piccolo passo per l’intera colonna -, un’altra rappresentante del gentil sesso, seguita da sua figlia, si alza da un muretto posto in uno dei vertici della piazza, sventra diagonalmente la spira di persone e si va a piazzare davanti alla porta di ingresso del Market.
Nel frattempo, in corrispondenza di una delle curve del serpentone, come affluenti minori di un fiume, compaiono prima un signore, poi una donna, poi un’altra ancora e vanno tutti a rendere quello che era un percorso abbastanza discernibile, qualcosa di complicato, di ramificato, capace di far drizzare le antenne e far aumentare alquanto il nervosismo già alto di suo per il fatto di fare tutti da bersaglio a chissà quali invisibili proiettili virali.
Sono lì sotto il sole oramai da un po’. Quando hai deciso di rimanere, lo hai fatto sulla base di una valutazione approssimativa del tempo che avrebbe preso l’attesa. Una valutazione, vero e proprio studio di funzione della serva, attuata tramite un calcolo veloce della velocità di scorrimento di quel lungo lombrico di acquirenti e di quanti anelli che compongono il suo lungo corpo hanno la precedenza su di me e tutto a un tratto scopro che le mie valutazioni iniziali non sono servite a nulla: potenzialmente, tutte le persone che vedo disperse nella piazza, più a questo punto anche quelle che non vedo, potrebbero da un momento all’altro reclamare il loro diritto a sfociare nel fiume principale con estuari alquanto barocchi e carpiati.
Lo faccio notare ai nuovi arrivati, invitando poi eventuali altri clienti a sistemarsi come me in fila; sentendo le mie parole, subito altri intervengono a difendere chi la signora, chi il signore, chi il ragazzo, chi…
Scorpo così che la fila è variamente composta: vi è una percentuale di persone come me, evidentemente meno furbe; poi ve n’è un’altra abbastanza cospicua di personaggi completamente assoggettati a una mentalità distorta che, a differenza di me, accetta di buon grado di starsene in fila mentre altri stanno comodi chi in macchina, chi seduto chissà dove; poi vi è la “fila ombra”: quella che si paleserà solo al momento giusto, complicando inutilmente una cosa semplice come una fila di attesa. Nel complesso, forse, una cinquantina di persone.
Hai chiesto a tutti di sistemarsi in maniera tale da rendere chiara la situazione e il risultato è ora un borbottìo più o meno sommesso e indiscernibile dal quale ogni tanto emergono chiare parole come “cattiveria”, “mancanza di pazienza”, “mancanza di buon senso” (sì, ancora lui. Ancora ‘sto cazzo di buonsenso…).
Una signora se ne esce con una teoria assurda: dice che la fila ha sempre avuto una forma diversa, che avremmo dovuto farla sviluppare in un’altra direzione facendo intendere che, per quanto regolarmente incolonnati, eravamo noi (una trentina di persone) quelli da condannare. Le chiedo di dirmi ogni quanto viene a fare la spesa perché quel sempre mi suona strano: io lì vado al massimo una volta a settimana, quando non ogni due, e le file sono una conquista recente: non ne abbiamo mai fatta una prima dell’emergenza sanitaria.
Lei allora, forse sentendosi colta in fallo – sarà una di quelle che va a comprare qualcosa tutti i giorni, o quasi – mi dice che è stata lì la scorsa settimana. Allora le faccio notare che il suo concetto di “sempre” è alquanto annacquato, ma proprio mentre lo dico, mi rendo conto che argomentare non fa altro che peggiorare la mia situazione: ho usato anche il termine “razionalità” e questo mi ha posto subito nella schiera dei cattivi.
Da ora in poi potrò solo confidare nella mascherina che un po’ copre i miei lineamenti, anche se so che la mia fisionomia nel quartiere è nota un po’ a tutti, esattamente come la loro purtroppo mi risulta familiare.
Sopporto. Taccio e dopo mezz’ora entro.
La storia già narrata in queste cronache non solo quindi si ripete, ma addirittura si aggrava: un via-vai continuo di persone intasa corsie strette e non contingentate, né controllate. Piuttosto che sfruttare tutto lo spazio a disposizione per mettere la massima distanza tra di loro, tutti si sfiorano, si passano vicinissimi e tacitamente si confermano che il 4 è già arrivato.
Per usare, oltre a resilienza e draconico che oramai, se non li collochi in un qualsiasi discorso, non sei nessuno, un altro termine fondamentale, direi che pur essendo il 2 Maggio misurato, il giorno percepito è come minimo il 6 o il 7.
Finalmente sono in fila a un metro dalla cassa, lì nel budello vicino alle confezioni d’acqua. Un’altra signora nella mia stessa fila, ma tre posizioni dietro di me abbandona il carrello a segnare il suo posto e mi si avvicina decisa.
Mi chiedo cosa accidenti voglia e lei, guardandomi fissa negli occhi, mi dice che deve prendere una confezione d’acqua.
La situazione è così surreale che rimango come stordito, quasi che, una volta avvicinatasi, mi avesse dato una sberla: procedendo lungo quella fila, si sarebbe trovata anche lei nella mia posizione, cosa che le avrebbe permesso di prendere la sua stramaledetta confezione d’acqua senza doverla trasportare fino al carrello e, soprattutto, senza doversi avvicinare a me e a tutti quelli prima di me che non ha potuto fare a meno di sfiorare, se non di toccare.
Ecco: tutta questa gente è quella stessa che incarna il buonsenso, che lo usa, che lo insegna, che lo professa, che lo sbandiera.
Questa è la gente per la quale il Presidente del Consiglio e la sua task force stanno elaborando piani su piani per arginare la pretenziosa stupidità vestita da intelligenza pratica, da saper vivere e altre analoghe minkjate della maggior parte dei cittadini. Quelli che non sanno evitare di creare rumore e nervosismi evitabili (e da evitare) nemmeno nel fare una semplice fila.
Mi balla davanti agli occhi uno strano identikit, un riassunto dai tratti suini e androgini di tutte le persone incontrate. Mi guarda negli occhi con la sufficienza di chi, espressione paradigmatica del nulla cosmico, ha dalla sua il sostegno dei più: il 90% delle persone che incontro e che condanna la razionalità dal pulpito sovraffollato del buonsenso: quello che mette tutti d’accordo solo su una cosa: facciamo tutti come ci pare perché è così che si fa; perché le indicazioni che ci hanno dato sono esagerate, frutto di fantasie perverse di gente che ama esercitare il potere e che quindi merita la nostra opposizione, bla-bla-bla.
Torno a casa e nel giardinetto condominiale, là dove in passato hanno lasciato per mesi e mesi sacchi di spazzatura, barbecue incrostati, carrelli della spesa con dentro assi di un soppalco rotto, pezzi di furgone, … trovo una vasca da bagno lasciata lì non si sa bene da chi e quando; non si sa bene perché.
A suo tempo nessuno mi ha veramente convinto nel mentre mi spiegava che devo amare il mio prossimo.
Per fortuna poi è intervenuta l’Educazione Civica a ridimensionare la faccenda, mostrandomi in modo convincente perché secondo la Costituzione io DEVO rispettare quel mio prossimo che proprio non riesco ad amare, e questo mi basta, mi deve bastare, e avanza, pure.
Forse gli altri si amano tutti, non so. Di sicuro so invece che non si rispettano: non rispettano gli altri perché inconsapevolmente non rispettano nemmeno se stessi.
Ora però vi prego: qualcuno mi spieghi perché in questa stramaledetta fase 2 dovrei dare fiducia a tutti.
Dargliela è come dire che si può dare a chiunque la possibilità di guidare senza aver preteso che sostenesse prima l’esame di guida; dargliela è come dire che chiunque può dirigere un team calcistico senza mai aver fatto sport; dargliela è come dire che chiunque può dirigere la protezione civile senza mai aver nemmeno fatto volontariato.
Dargliela è come dire che tutti possono mettere bocca su problemi di didattica senza mai nemmeno aver insegnato un giorno; dargliela è come dire… tutte le fesserie che si leggono sui social e che si sentono al bar.
Un paese di monarchici in pectore che, strapieni di ostentata e ingiustificabile autostima, non potendo, come molti dicono di desiderare, essere sudditi di un nuovo reuccio dai pieni poteri, si scoprono anarchici chiassosi e inconcludenti.
Qualcuno sa da che parte è l’uscita?
SZ