UNA PLACIDA DIGNITÀ
Guardo il numero riportato nel titolo di oggi e mi suona strano.
La parola Giorno seguita dal numero 32, pur essendo una combinazione assolutamente plausibile, suona anomala, falsa, tarocca. Un abominio, quasi: i mesi, si sa!, non hanno mai più di 31 giorni!
Una considerazione di sicuro stupida, che ha il potere di spiegarmi ancora una volta la gravità di ciò che stiamo vivendo: per quanto la nostra cultura abbia nei millenni elaborato sotterfugi utili per adattarci all’ambiente e ai suoi ritmi, la Natura dimostra di procedere lungo direzioni tutte sue e poco le importa se io sto dentro casa da trenta giorni o da trentadue.
Sono chiuso dentro, e ancora fuori da qui è cambiato poco o nulla. Non posso che chiedermi, allora, come avremmo contato i mesi se fossimo stati da sempre costretti a guardare il mondo da dietro una finestra chiusa, senza poter osservare bene il mutevole corso dei movimenti solari.
Non appena il mo cervello malato di convenzioni prova quel fastidio nel leggere il titolo di oggi – è la sensazione che provo, ma non la penso come “fastidio”. Verbalizzare le sensazioni è qualcosa che non mi serve per pensare e lo faccio esclusivamente quando scrivo o parlo. Almeno credo sia così. Ci penserò – tutto e solo l’insieme dei numeri Naturali si accorge di me e ride sommessamente. Gli altri infiniti, invece, continuano indisturbati la loro vita Reale, Immaginaria, Irrazionale (si fa per dire…) e non mi degnano nemmeno di quella fugace occhiata divertita.
Di abominevole qui c’è solo il farsi portare a spasso dalle nostre convenzioni e convinzioni, dai nostri limiti e dai nostri piccoli accorgimenti utili a dare un orientamento a vite altrimenti disorientate e appigli nella difficile impresa di decifrare la realtà.
Sì, sono trentadue giorni di semiclausura – mi è comunque consentito andare a fare la spesa, rivolgermi a un medico, compiere un lavoro che magari comporta di uscire di casa – e la sensazione più o meno dichiarata da tutti è che si sia solo all’inizio della storia.
Possiamo anche ribellarci agli inviti a stare a casa – da notare che si tratta ancora di semplici inviti e non di veri e propri coprifuoco controllati militarmente, eventualità che per certi versi auspicavo e per altri temevo – ma sappiamo tutti molto bene che, pur adottando le deboli strategie retoriche usate qui e là sui social a sostegno di quei punti di vista così rivoluzionari, sfidare la situazione non conviene affatto: a punirci non sarebbe certo il governo che in questa fase sta dimostrando una manica alquanto larga e un certa comprensione paterna per il modo di agire tipico della popolazione peninsulare.
Qualcuno tempo fa ha affermato che nel nostro paese le rivoluzioni finiscono all’ora di pranzo. Come dargli torto? Gli ancora ampi spazi di manovra che sono stati lasciati ai cittadini credo vadano letti come scelte compiute nella consapevolezza che all’italiano medio non puoi chiedere di obbedire alle disposizioni, anche se motivate corredandole di spiegazioni approfondite, dati e pareri degli esperti.
Se gli dici che non può fare ginnastica all’aperto, il giorno dopo milioni di panzoni nostrani decideranno che è arrivato il momento di dimagrire e pur di inscenare una protesta, pur di dimostrare che “a me nessuno può spiegare cosa posso o non posso fare”, per la prima volta nella loro vita faranno una corsa di cinque chilometri… sul loro balcone.
No, non credo proprio che il governo stia dando prova di avere compiuto una scelta dura per combattere il problema. Anche chi protesta – almeno i più informati di loro, gli imbecilli sono un’altra cosa, da trattare a parte con piglio clinico – sa benissimo che è molto, molto più probabile che se uscisse, se davvero riprendesse a vivere come ha sempre fatto, a punirlo sarebbe la Natura che non aspetta altro se non l’esercizio massificato del famoso buonsenso.
Sa anche che lo farebbe senza chiedergli “Concilia?”, senza offrirgli di pagare una cauzione, senza concedergli di chiamare il suo avvocato e soprattutto senza dargli il tempo di dire la classica “Lei non sa chi sono io!”
No, nulla di tutto ciò. La Natura non avrebbe nemmeno la compiacenza di prendere per un attimo la faccia di Totò che gli dice, spingendogli il gomito, “Ma mi faccia il piacere!”.
Piuttosto lo punirbbe con una noncuranza tutt’altro che italica, da far tremare i polsi anche a un contravventore teutonico: con un totale disinteresse per il suo conto in banca, per la bravura del suo avvocato, per il blasone che da sempre lo accompagna, gli darebbe l’opportunità di partecipare alla gara evolutiva assolutamente legittima di un esserino che grazie a lui avrebbe di che nurtrirsi e di che dare da mangiare alle sue numerose repliche; quelle che generosamente lui, il rivoluzionario di turno, distribuirebbe anche ai suoi cari e ai suoi invitati per la grande festa in onore della prematura fine dell’emergenza.
La cosa curiosa è che per anni abbiamo prodotto film, molti dei quali assurdi e scientificamente scorretti, nei quali la protagonista assoluta è una Natura incazzata che si sfoga in modo molto, troppo umano con… l’umanità: in quelle pellicole, la Grande Madre manifesta la sua rabbia come in altre fanno Stallone, Schwarzenegger, Van Damme.
Al posto di calci, pugni, mosse di Karate, troviamo terremoti devastanti, da lesionare anche il televisore durante la visione; tsunami qui così alti da lasciare all’asciutto l’emisfero opposto e altre catastrofi apocalittiche, da gustare col fiato sospeso, il pop corn fermo nella bocca spalancata, l’occhio pallato e la Coca in mano.
Nulla di tutto ciò. La Natura è quella che, gentile come la sequenza infinita di numeri naturali, sta fiorendo ovunque. Ci scalda con giornate sempre più luminose e lunghe; ci coccola con odori che entrano dalle finestre aperte a dare ossigeno alla nostra pianta intossicata dalla rabbia.
Una rabbia potente che, non potendo attaccarla a nulla, scegliamo di concentrare su un decreto o su un modulo da stampare. Lo so, l’obiettivo è salvaguardare il fegato coinvolgendo la pancia, ma continuando comunque a elaborare il problema con la parte al di sotto del diaframma, e non con quella più adatta a simili faccende posizionata al di sopra esso.
E mentre c’è chi, anche fra i miei amici più cari, dopo l’ultimo annuncio del prolungamento del lockdown fino al 3 Maggio, vagheggia tra il serio e il faceto di proteste da inscenare in piazza il giorno successivo, noto una notiziola di quelle usate dalle testate giornalistiche per riempire, per fare volume.
Sta a pie’ di sito (non potendo leggere la pagina del giornale cartaceo, l’ho trovata sulla versione on-line) e sembra regalarmi il polso vero di ciò che siamo, di ciò che è e di ciò che è giusto che sia.
Lì si parla del mestrino Marco Casula, giovane ricercatore del CNR rimasto completamente isolato nella base Artica Dirigibile Italia a Ny-Alesund, nelle isole Svalbard, a un migliaio di chilometri dal Polo Nord.
Un posto dove non c’è traccia di epidemia – che, come la maggior parte dei problemi attuali, viaggia con il vettore uomo – anche se sarà proprio la sua evoluzione a stabilire i termini del suo contratto e della sua permanenza da quelle parti.
Al momento non vi è possibilità alcuna che lui possa tornare dai suoi affetti, ma accetta tutto con la tranquillità di chi si mette davanti i vari elementi di un problema per connetterli tra loro in una sequenza ragionevole, anzi, razionale.
Eppure avrebbe molti più motivi di noi di urlare al mondo la sua disperazione: qui, ad esempio, non passa giorno che qualche operatore dello spettacolo non agiti i pugni asserendo che ci si è scandalosamente dimenticati della cultura; che ancora il governo non si è espresso su un problema fondamentale come lo stabilire una data possibile per la riapertura di cinema, teatri e sale concerto.
Nessuno ancora ha dato a Casula una data per il suo rientro. Semplicemente nessuno può fare una previsione del genere. Lui però se ne sta buono-buono, in silenzio; nel silenzio. Anche se urlasse, nessuno potrebbe decifrare il suo grido d’aiuto: suoi compagni e spettatori sono intatti renne, orsi, ghiaccio.
Muto, lavora al campionamento della neve e dell’aerosol, misure che hanno un’influenza enorme sulla vita presente e futura di tutti noi, e lascia che la bellezza algida della Natura faccia il suo corso. Quella Natura che, come dice nel video con invidiabili serentià e proprietà di linguaggio, “Qua fa da padrona, ti senti molto piccolo. Le dai del Lei”.
Uscendo di casa, qui di certo non ci imbattiamo in renne, orsi o ghiacci, ma sappiamo bene tutti – lo sanno anche i più riottosi – che potremmo imbatterci in quell’esserino così dannoso e subdolo.
Anche se meno romantico dell’incontro con una renna, non si tratta certo di un evento così strano: pure se non fa rumore come in un moderno B-movie, è ancora quella Natura che, vestendo una divisa diversa, qui come al Polo Nord fa imperterrita lo stesso, identico lavoro di sempre.
Magari ricordiamoci di darle del Lei.
E, rispettosi, manteniamo le distanze.
SZ