CRONACA VIRUS – Giorno 23

                              LA VITA DELLA RETE E LA SUA EVOLUZIONE DAL BASSO

Per motivi intuibili, in questo periodo mi trovo spesso a comunicare on-line con colleghi musicisti con i quali condivido il bisogno di “sentirci” per suonare insieme.

In questa situazione di allontanamento reciproco, quasi fossimo diventati tutti galassie di un universo umano in espansione (fino al mese scorso collassavamo tutti gli uni sugli altri), mi sono addirittura cimentato nella composizione di una colonna sonora di un corto: stando a Bologna, ho contribuito alla stesura della partitura lavorando “di concerto”, tramite telecamera e microfono, con la mia amica Francesca connessa da Ragusa.

Tutto fantastico, se non fosse che già in due intasavamo la banda usata dalla app per videoconferenze. Quando il traffico delle nostre note diventava intenso, per garantire la trasmissione di almeno un segnale, il sistema agiva con una serie di algoritmi di scelta attenuandone uno fino, alle volte, a sopprimerlo del tutto per privilegiare la chiarezza dell’altro.

La capacità di appropriarsi di uno strumento prevede che da esso si sappia trarre il meglio sfruttandone i pregi, ma anche i difetti e stiamo imparando a volgere a nostro vantaggio quella paticolare gestione dell’interferenza del segnale per creare “togliendo”, asciugando a monte le idee e stimolando nel sistema proprio quelle ineludibili scelte che abbiamo eletto a strategia compositiva.

Ma, a parte il curioso vantaggio offerto da quella limitazione che, giocoforza, suggerisce nuovi modi di fare comunicazione e composizione, essa non può che essere avvertita come un problema, anzi, come un nuovo problema.

Eppure ricordo che fino a un mese fa la app in questione era considerata rivoluzionaria rispetto ad altre le quali prima garantivano la sola comunicazione on-line uno a uno. Essa finalmente dava spazio a tutte le situazioni nelle quali era necessario trovarsi in tanti in uno stesso ambiente virtuale, quasi si fosse in una sala conferenze, in un bar, o in un’aula scolastica.

Per queste normali esigenze era divenuta quasi uno standard e oramai non si poteva fare a meno di averla fra le applicazioni subito disponibili sul desktop del proprio pc.

L’aver sperimentato a mie spese il limite di questa tecnologia mi ha permesso, non solo di sperimentare nuove modalità di composizione musicale, ma anche di intravedere un aspetto forse interessante della faccenda. Un aspetto che mi piace riguardare come indizio di una possibile “evoluzione darwiniana della specie rete”.

Mi spiego. L’impennata nell’uso di quella come anche di altre app utili per consentire la convergenza in tempo reale di più utenti, di sicuro stimolerà da parte dei gestori dei server e degli sviluppatori un potenziamento del supporto sul quale corrono le nostre comunicazioni, nonché un notevole incremento delle capacità dei programmi di contenere i rumori e di gestire suoni e immagini senza perdite di segnale.

Entro un anno, ne sono sicuro, cooperazioni a distanza come quella descritta in apertura di questo articolo saranno efficientissime e l’unica strategia utile per comporre decentemente, sapendo che del tuo brano si sentirà tutto ciò che avrai scritto e non ciò che della partitura verrà salvato dalla app, sarà quella di… saper comporre, .

Sarà quindi l’industria elettronica, pungolata dalle nuove esigenze di tutti, ad adattarsi entro breve ai nostri desiderata e – un punto che immagino possa sembrare banale, ma che a ben vedere non lo è affatto – non l’inverso.

Eravamo oramai abituati a sapere che la tecnologia avrebbe continuato a spiegarci di cosa abbiamo bisogno. Viziati dal genitore tecnologico che, prevedendo ciò che ci avrebbe fatto comodo – ma soprattutto ciò che ci avrebbe fatto buttare i prodotti vecchi di pochi mesi per sostituirli con i nuovi – ci avebbe consigliato l’acquisto delle novità spingendo molti a fare assurde file davanti ai negozi.

Venivamo sempre stimolati a cambiare il cellulare, il computer, l’automobile, … da chi aveva un chiaro interesse economico nello spiegarci che avevamo necessità assoluta del nuovo modello, della nuova funzionalità, della nuova capacità.

Non intendo di certo qui scagliarmi contro una simile modaltà evolutiva della specie tecnologica che, pur nell’assurdita di certi aspetti sociologici, ha anche portato nelle nostre vite molti innegabili vantaggi.

Qui però credo torni a essere importante un processo bottom-up che a partire da bisogni concreti della società, e nell’impossibilità di fare ulteriori file davanti ai negozi, stimoli il raggiungimento di un upper-level tecnologico in barba al processo top-down che ci ha dominato fino a tempi recenti (per il quale, tra l’altro, non credo esista il comparativo top-downer: più in giù di così non si può andare nemmeno a parole…)

Stiamo senza dubbio, e a grande velocità, maturando nuove esigenze e, con esse, matura la consapevolezza di ciò che davvero serve; una consapevolezza che prima era solo indotta da provider i quali ci spiegavano, spesso a ragione, cosa fosse per noi meglio.

Ma ora voglio convicermi che l’esserci accorti di alcuni malfunzionamenti del vecchio sistema senza che a suggerircelo sia stata l’industria, il commercio, la pubblicità, possa essere letto come il segnale positivo di un cambiamento futuro da noi indotto. Attendo di  assistere a una prossima rivoluzione fondamentale: torneremo a essere anche noi, la base, a imporre l’evoluzione tecnologica finalizzata alla soddisfazione di nostre reali esigenze, e non sempre e solo il viceversa.

Voglio sperare che tutto ciò sia l’indizio dell’imporsi di un modo di concepire la nostra vita e il concetto di comfort che dilagherà anche in altri ambiti come, ad esempio, la sanità (sarà importante assecondare l’esigenza di capire da sé, con adeguati strumenti di autodiagnosi, se si è malati, immuni, asintomatici, … bypassando così l’intervento pachidermico, lento, costoso delle strutture pubbliche); il lavoro (privilegiare sempre, laddove possibile, il telelavoro come soluzione a problemi di traffico, inquinamento, mancanza di parcheggi, stress, perdita della qualità della vita, dipendenza da junk food, …); l’istruzione (che finalmente potrebbe essere garantita ovunque e a tutti), la vita sociale (addebito delle pensioni sul conto corrente, snellimento delle operazioni burocratiche da condurre tutte on-line senza file negli uffici, …), decentralizzando, infine, tutti i servizi sociali a beneficio di chi vive nelle periferie.

Vedo che una delle frasi più ricorrenti in rete è “ritornare alla vecchia vita e alle vecchie abitudini”.

Ecco, spero proprio che l’obiettivo non sia questo.

Non siamo stati in grado di avanzare in modo spontaneo nella direzione di una auspicabile decrescita felice già proposta da molti in un recente passato.

Davanti a noi abbiamo un chiaro scenario di decrescita economica dovuta invece a motivi che la classificano di sicuro come infelice, ma sono però portato a credere che, se persisteremo nel percepirla così, sarà ancora una volta a causa del rumore nella banda che abbiamo scelto per parlarne.

Vi prego, ripuliamo la comunicazione così da far emeregere la voce di chi è stato sempre zittito dal vecchio sistema di gestione della rete.

Non abbiamo alcun bisogno di tornare allo status quo ante.

Abbiamo invece un assoluto bisogno di ripartire, stavolta andando a piedi lungo il sentiero nell’erba alta che al bivio precedente abbiamo trascurato per scegliere di correre in auto sulla corsia di asfalto nero.

Se lo faremo, spodesteremo il concetto di profitto fine a se stesso e potremo tornare presto a mettere l’uomo al centro dell’interesse della società.

E, paradosso dei paradossi, se ci riusciremo, lo dovremo solo a un minuscolo, insignificante ma anche rivoluzionario virus.

SZ

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