A QUALE NORMALITA’ VOLETE TORNARE?
Ricordo che tanti anni fa – senza tema di sbagliare, direi pure “troppi” – in uno dei tanti incontri pomeridiani con docenti universitari organizzati dal mio liceo per dare a noi maturandi una panoramica delle materie da scegliere per gli studi successivi, incontrammo anche un esperto di informatica teorica.
Come per gli altri, non ne ricordo il nome e a fatica metto a fuoco la sua fisionomia. Più o meno cinquantenne, statura più o meno alta, vestito beige, cravatta, camicia chiara. Non ricordo quasi nulla del suo discorso ma una frase, una definizione che propose, mi si infisse bene in testa, e ancora mi accompagna.
Prima di continuare, mi rivolgo ai più giovani fra voi, invitandovi a entrare nell’ordine di idee che parlare di informatica e di computer nel 1986-1987 non fosse la stessa cosa del parlarne oggi: i cellulari, all’epoca oggetti di lusso, non erano ancora diffusi (inizieranno ad esserlo nel ’90) ed erano nient’altro che telefoni senza fili, mentre i computer domestici non erano né così potenti, né soprattutto così presenti nelle nostre case.
Li si guardava ancora come un elemento quasi magico che stava entrando gradualmente, ma con decisione, nelle nostre vite. Un ingresso che non potevamo proprio intuire quanto si sarebbe rivelato scovolgente e pervasivo.
Tornando a quel docente, con un guizzo geniale fu capace di destarmi dal torpore provocato dall’innaturalezza dello star seduto, di pomeriggio, a quell’età, per sentire ancora una volta qualcuno parlare dopo aver già trascorso in quella poszione tutta la mattinata.
Ci riuscì definendo il computer uno scemo veloce: un esaustivo riassunto di quello che davvero quell’oggetto è.
Ci assiste con la sua incredibile capacità di eseguire velocemente tutte quelle operazioni che a noi costerebbero tempi anche infiniti (pensate soltanto a cosa significherebbe procurarsi tutte le informazioni cui accediamo con un click quando effettuiamo una qualsiasi delle innumerevoli ricerche che quotidianamente compiamo in rete) e agisce quasi fosse un nostro arto al quale comandiamo di eseguire, senza aspettarci da lui domande o obiezioni morali, estetiche, religiose, …, tutte quelle azioni comandate da stimoli partiti dal nostro cervello.
Non ha anima (se solo stabilissimo davvero cosa essa sia, potremmo forse scoprire che ne ha una), non ha gusto, pensieri, antipatie e simpatie. Fa quello che gli si dice di fare, e lo fa subito.
Non ci sogneremmo mai di dire che il nostro pc è cattivo come non lo diremmo di un nostro arto. Semplicemente dirlo non sarebbe cosa sensata. Lui è strumento, appendice, innocente come un bambino, anzi, anche di più, dal momento che ancora nessuno si è peritato di traslare il concetto di peccato originale su questa lattina di intelligenza passiva e introversa.
In ogni caso, lui, lo scemo veloce, è una nostra creazione (ancora) al nostro servizio.
Tra le nostre creazioni che hanno presto preso il controllo della nostra vita in misura confrontabile con quanto hanno fatto i computer, vi è anche un altro mostro; un vero e proprio Frankenstein che invece non è veloce, ma pretende la tua velocità; che non ha anima, gusto, pensieri, ma agisce sulla tua e si impone sui tuoi. Dimenticavo: gli stiamo tutti antipatici.
Si tratta della burocrazia alla quale si pretende di dare l’aspetto di meccanismo perfetto ed equo, coprendo maldestramente la realtà: è una macchina del tutto imperfetta, disumanizzante e spesso alquanto cinica. Forse la macchina più cinica che abbiamo inventato e che, come un golem, una volta apposta in calce la nostra firma sulla sua fronte (e magari anche sul retro), sembra animarsi ed essere al nostro serivizio, rivelando presto le sue reali e traditrici intenzioni: essa può anche rivoltarsi contro l’indirizzo, ripetuto almeno quattro volte nello stesso documento, di chi l’ha firmata.
Puoi anche chiudere la porta, puoi anche mettere una mascherina e i guanti, puoi anche non avvicinarti agli altri, puoi anche morire di fame, puoi anche andare a farti fottere, ma lei, la burocrazia, non demorde, non arretra, non ha dubbi e non ascolta quelli altrui.
Non ci sono né metri, né chilometri di sicurezza a salvarti. Agisce su grandi scale spaziali e temporali; è sorda, ma pretende ascolto; brutta, ma “se la tira” con atteggiamenti da altera Afrodite.
Il problema è che siamo stati noi a farle credere tutto ciò facendola crescere a dismisura, ipertrofica, algida e tronfia, dallo sguardo vitreo, fesso e fisso.
Come tutti, in questo periodo tento di schermarmi dai pericoli noti ma, più subdolo di un virus che non vedi, ce n’è sempre uno enorme che incombe su di me e che sai che potrebbe agire quando meno te l’aspetti.
A prima vista è paragonabile, per la letalità che dimostra nei confronti del tuo tempo e del tuo buonumore, a una semplice influenza, ma può aggredire presto tutti gli organi della tua vita, facendoli irrimediabilmente rabbuiare per malinconia, noia, senso di impotenza, mancanza di bellezza.
Ma come mai proprio oggi me la prendo con questa macchina a volte utile, ma alienante e infinitamente meno affascinante di una macchina inutile (che Munari non me ne voglia per averlo citato qui)?
Lo faccio perché due-tre giorni orsono mi è arrivata via mail una documentatissima comunicazione da parte di uno dei miei più o meno recenti datori di lavoro (oltre quela istituzionale, ho sempre avuto una abbastanza intensa attività da free-lance). In essa mi si diceva che, per un errore di conteggio non mio, ma di qualcuno/qualcosa nella filiera amministrativa, si è scoperto a distanza di tempo che devo restituire una cifra di ben 2,01 euro.
Lo si dimostrava con la sfilza di calcoli e documenti su carta intestata che mi sono arrivati in allegato e che, francamente, pur avendo studiato cose generalmente ritenute complicate, mi risultano oscuri, ma soprattutto brutti. Così brutti che riuscrirebbero ad adombrare finanche la bellezza di un paesaggio marino, l’ascolto della quarta di Mahler o, che so, … una passeggiata nel mondo senza la minaccia di un virus letale.
A inviarla è stato un impiegato che non conosco e che, lo ammetto, piacevolmente colpito dai suoi modi, è stato anche molto, molto gentile e garbato. Nella mail pregava un’altra sua collega che invece conosco bene (una cara amica), di farmi pervenire il frutto di quella indagine interna arrivata da chissà quale computer manovrato da chissà quale altro oscuro e lontano impiegato.
L’ordine, mascherato da richiesta, è tra l’altro di pagare subito la cifra dovuta perché, me lo si fa intuire con il solito carico di sottintesi di cui solo il burocratichese è capace, ho solo da perderci nel rifiutarmi di farlo o ritardando l’operazione. Insomma, “concilio” o no?
Tutto ciò è entrato a gamba tesa nella mia giornata, sorprendendomi nel mentre pensavo ai casi miei, intento a dare un senso a un tempo che, come quello di tutti, a perderlo impiega pochissimo e che a guadagnarlo richiede lunghi e intensi sforzi, spesso inutili.
Ora forse voi direte che anche quelli sono casi miei, che sto esagerando, che dovrei essere contento della cifra esigua (lo sono, eccome! Ma prima di capire che fosse solo quello l’importo, ho avuto tempo di farmi venire le coliche), ma la realtà è che simili cose capitano spessissimo e hanno il potere di distogliere la tua attenzione dagli aspetti che più ti interessano della tua vita, pretendendo che tu ti sintonizzi all’istante su ciò che dicono e su ciò che impongono.
D’un tratto, una macchina messa in moto da noi si sostituisce al suo creatore e pretende che sia tu stesso a diventare lo scemo veloce. Non hai più un cervello, un’anima, un sentire. Sei come il tuo dito, sei come il tuo gomito o come il tuo alluce: solo un’appendice nella quale il cervello viene bypassato, spento, ridotto a groviglio di fili attraversati da un segnale esterno da non processare, almeno per il tempo che prende l’operazione.
Certe cose vanno fatte su-bi-to.
Punto.
Devi agire con una celerità che nessuno ti ha insegnato a usare per ciò che ci piace. Nessun ci ha spiegato quanto importante potrebbe rivelarsi scegliere di premiarci subito, quando possibile, regalandoci qualcosa di per noi desiderabile.
Nella nostra cultura pervasa da un peloso peccato originale, così persistente da accompagnarci per tutta la vita e che ci abbandona solo quando il nostro corpo non è più l’organismo migliore da occupare (sembra quasi io stia parlando della Cosa di Stephen King…), tutto ciò che ti fa stare bene viene dopo.
L’esistenza di questa sovrastruttura amministrativa dalla stabilità geodetica così soffocante impone una revisione del concetto stesso di peccato originale. Non più inquantificabile, ora assume un valore economico e giuridico precisi: non appena ti verrà assegnato un codice fiscale, graveranno su di te le nefandezze compiute da tutti i tuoi predecessori e avrai accise che macchieranno per tutta la vita la tua fedina economica.
Garantito da quella macchia, saprai che in qualsiasi momento potranno scoprirne una ulteriore sconosciuta anche a te; soprattutto a te. Un’onta sotterranea e invisibile che in qualsiasi momento potrà costarti un aberrante processo kafkiano.
In ogni caso, ricorda: si deve fare ciò che va fatto, è ciò che va fatto non coincide mai con ciò che fa stare bene, nemmeno quando il benessere assume la sua forma più sfumata e misurata. Ciò che va fatto non coincide mai con il godere.
Tra l’altro, la caratteristica più becera – fondamentalmente l’unica con la quale me la sto prendendo – del sistema burocratico è che io sono chiamato a risolvere subito, con i miei soldi e il mio tempo, quindi con due volte i miei soldi (pare che il tempo sia denaro…) un problema che ha generato il sistema stesso al quale però non si può chiedere di essere autocorrettivo.
No, il sistema pretende di apparire infallibile. Me lo immagino, il sistema, con una forte calvizie che ha risparmiato solo pochi capelli posti lungo il parallelo della testa subito sopra le orecchie.
Me lo immagino con le sopracciglia alzate in atteggiamento falsamente paternalistico; con il doppio mento, con la pancetta, la penna sull’orecchio e l’aspetto di chi odia la vita vera dei vivi; quella che lui, da sistema, desidera invano.
Se lui, il sistema – o, per la par condicio, se lei, la macchina burocratica – fallisce, si sa che sei tu a dover porre rimedio. Lui tenterà di non sbagliare perché farlo non è cosa che si addice a un sistema; non è bello per una macchina fallire.
Ma se capita (e meno male che capita: vuol dire che ancora, nonostante tutto, ha conservato un indizio dell’umanità di chi lo ha creato), sarà suo piacere importi di porre rimedio al suo errore.
Nella vita recente del lunghissimo idra burocratico, più persone sono state interessate dal grave problema indicato nel documento come importo netto a debito. Sono stati costretti, come lo sono pure io, a impiegare il loro tempo, la loro esperienza pluriennale e le loro energie mentali per propagare un’inezia dall’imponente importanza.
In definitiva, sono vittima io, è vittima chi mi ha girato la mail, è vittima chi gliel’ha inviata, è vittima, …
Una lunghissima fila di vittime che, se solo potessero guardarsi tutte negli occhi, si ribellerebbero con un estremo e violento gesto luddista, smantellandola subito ‘sta macchina infernale (King ritorna…).
Ho provato a dire a chi conosco che il bonifico di due euro mi costa altri due euro di operazione on-line (altra assurdità figlia di una forma diversa, ma molto simile di burocrazia); che avrei preferito pagarne anche di più per un apertitivo, un caffè, una colazione, da offrire quando ci saremmo visti di persona, ma non è stato possibile: la “logica” cieca e sorda della macchina amministrativa pretende il mio intervento; pretende la mia certificata attenzione: devo dimostrare con tanto di firma e codice iban che il tempo immolato alla giusta causa è stato il mio.
Ergo, una simile cosa si mette di traverso almeno tra due persone, interrompendo così il normale corso delle faccende umane… disumanizzandolo, gelandolo, piegandolo alla logica senza faccia del golem di cui sopra.
E mentre fior di ricercatori cercano di far in modo che la macchina ci somigli sempre più elaborando teorie e tecniche all’avanguardia per arrivare al Graal dell’intelligenza artificiale, scopo della macchina burocratica è farci assomigliare a lei per installarci una desiderata forma di stupidità reale.
Ed è così che quella che potrebbe e dovrebbe solo essere una necessaria e utile burocrazia comprensibile anche da noi che burocrati non siamo, si tramuta nel suo opposto: una stupida, lenta, (in casi come questo) inutile, pretenziosa, violenta, cieca, sorda, esagerata, …, burocrazia.
Io non voglio tornare a vivere in un mondo che non sa fermare simili maelstrom nemmeno in un periodo del genere; nemmeno per importi del genere, ma soprattutto, nemmeno per errori non miei.
Vi prego, lasciatemi essere un uomo, lasciatemi essere persona.
Se simili dinamiche fanno parte del mondo al quale non vedete l’ora di tornare, accomodatevi, ma lasciatemi fuori o quantomeno occupatevene voi al posto mio.
Voglio credere che questo periodo sia un’occasione anche per trovare soluzione a questo genere di problemi. Si parla da tanto di semplificazione delle procedure burocratiche e forse è arrivato il momento di passare dalle parole all’azione.
Io a quel mondo non voglio tornare perché, nell’immensa gioia di dover pagare solo due euro e zero un centesimi, scopro di non volere più sforzarmi di trovare sempre il lato positivo di situazioni paradossali come questa.
Il bello e necessario sta altrove. E non richiede sforzi di immaginazione per essere riconosciuto e coltivato.
SZ
Credo che tu abbia dedicato anche troppo del tuo tempo a scrivere di una cosa che non merita.. forse bisognerebbe cambiare punto di vista… non so, mi viene in mente questo.. forse è l’unico modo per restarne fuori.
É quello che facciamo sempre. Non so tu, ma io lo faccio così tante volte da rendermi conto che se sommo il tempo preso da tutte queste operazioni sostenute da mute accettazioni, ottengo un quantitativo di tempo notevole, importante, che non vedo perché devo sacrificare per salvare qualcosa che non funziona. Poi, se a te sta bene, fa’ pure. Io provo a denunciare. Almeno mi sfogo… 😦
sì, sì… Ho capito perfettamente il tuo intento ma, almeno per il momento, sto cercando di limitare il tempo dedicato a cose che non mi piacciono.. forse devo vedere l’atto dello scrivere come qualcosa che dà piacere, e sono d’accordo, e infatti il mio commento riguarda unicamente l’oggetto dello scrivere: come succede a volte sui social, fb ad esempio, il reiterare di foto di personaggi che andrebbero assolutamente eliminati, secondo me, (sicuramente sbaglio nel pormi in quest’ottica) rafforza il personaggio in questione che, invece, meriterebbe solo l’oblio.
Insomma, sto provando a fare un’operazione inversa… boh… naturalmente è solo un mio punto di vista.
Sono assolutamente d’accordo! Ma mentre posso fare a meno di ripubblicare la foto dei personaggi di cui sopra, non posso proprio esimermi dall’accogliere nella mia giornata le operazioni che mi vengono imposte. Allora, se proprio devo farlo, pago, ma non sto zitto. Spero solo che una simile protesta arrivi a chi potrebbe far qualcosa. Mi basterebbe anche che ammettesse in cuor suo l’inconfessabile stupidità del procedere della macchina che sta guidando. Tutto qui
Perfettamente d’accordo con te… ma lui leggerà tutto quello che hai scritto?
Colgo il velato suggerimento a essere più sintetico… 😀 Che dire… spero proprio che lo legga fino in fondo, dimostrandosi così un lettore forte 😀 Spero anche che, nel caso, sfrutti quanto di buono c’è (se c’è) in esso piuttosto che usarlo per accanirsi sul sottoscritto 😐
No, no, riguardo al suggerimento velato, niente di tutto ciò… mi riferivo alla fiducia (scarsissima) che ponevo nella possibilità che il tizio leggesse tutto (non perché tutto = troppo) e ne comprendesse anche il senso.
Se, in qualche modo, gli hai fatto avere questo scritto, spero veramente che lo legga e che, soprattutto, rifletta su come potrà indirizzare la sua azione per modificare questa o altre future situazioni assurde…
Non trovo emoticon qui in wordpress e non so come rendere l’abbraccio e il cuoricino. Fa’ conto che qui ne abbia messi un po’… 😉