DACCI OGGI IL NOSTRO PATIMENTO QUOTIDIANO
Siamo un popolo ridanciano e questa nostra caratteristica ci ha salvato, e continua a farlo, in tantissime situazioni di disagio, malessere, disperazione.
Ridiamo praticamente di tutto e io stesso mi fregio di essere da sempre, nonostante il tono serioso che ostento in questo blog, un grande collezionista di barzellette che alla prima occasione recito con chiunque sia disposto ad ascoltarle.
Questo periodo così problematico ha stimolato nel popolo italiano non solo flash mob musicali, alcuni dei quali a mio parere ridicolmente nazionalistici – un carattere che, come puntualmente faceva notare ieri un acuto osservatore della realtà quale è il mio amico di facebook Marco Fulvio Barozzi – possono risultare alquanto inopportuni e del tutto fuori tema: il virus non è alle porte. Le ha già attraversate.
Oltre a far riscoprire sotto le ceneri la brace musicale, l’emergenza Coronavirus ha rintuzzato il fuoco dell’umorismo italico in tutte le sue forme, dalla più sottile alla più grossolana e irriferibile (e prorpio per questo particolarmente intrigante).
Tra le gag più riuscite, in verità tantissime, ve ne sono alcune con un carattere preciso che sin dall’inizio del periodo di segregazione in qualche modo imposta, anche se camuffata da semplice e giusto suggerimento dato agli italiani, hanno fatto la comparsa nei post whatsapp.
In questo filone si mette in evidenza come la maniacalità sia il tratto distintivo di molte delle tecniche di sopravvivenza messe in atto dai nostri connazionali: c’è chi, orgoglioso, riferisce il numero esatto delle piastrelle di casa, chi quello degli spaghetti contenuti in una confezione; c’è poi chi pulisce casa come non ha mai fatto prima e chi invce preferisce riordinare gli attrezzi e le minutaglie da bricoladge come viti, bulloni, … tra i quali fino a pochi giorni fa regnava il disordine totale.
Infine vi è chi si incaponisce ore e ore nel tentare piccole, impossibili imprese, da giocoleria estrema, come, ad esempio tentare di infilare, lanciandolo, un rotolo di asciugatutto su un’asta piantata sul pavimento (la fine di questo video ne fa uno di quelli irriferibili, ma di sicuro… interessante!).
Insomma, il tempo, nella sua ripetitività estrema, incessante, monotòna e monòtona, sembra proprio suggerire che il modo migliore di affrontarlo quando se ne ha troppo (?) sia proprio combatterlo da dentro, quasi, con la sua stessa arma: la ripetizione, la reiterazione, la folle riproposizione di gesti, parole e, in definitiva, di pensieri che lo mostrano chiaramente: a non dare tregua è sempre un obiettivo particolare che demoniacamente si impadronisce dell’individuo.
Nella maggioranza dei casi, si sa, l’umorismo non fa altro che evidenziare il manifestarsi di tratti fondanti della nostra specie, e lo fa in un modo di sicuro efficace: isolandolo, estremizzandolo e mettendone a nudo davanti agli occhi di tutti quelle che a torto, spesso vengono nascoste come “pudende” comportamentali.
In questo caso, grazie proprio alla pervicacia di certo modo di stimolare il sorriso, mi è sembrato di intravedere una possibile spiegazione del perché molti di noi nella vita hanno intrapreso strade tutt’altro che facili, incaponendosi in attività che, con sorti diverse, poi hanno condizionato il corso intero dell’intera vita.
Grazie a queste gag possiamo quindi affermare con un certo grado di sicurezza che la maniacalità fa parte di chiunque sia posto dagli eventi in condizione di “cattività”: tutti, una volta costretti in tempi e spazi limitati, prima o poi iniziamo a manifestare abitudini e vizi che ci aiutano a solcare più o meno indenni quelli che altrimenti rischierebbero di rivelarsi oceani di noia, bonaccia e calma piatta.
Un dato triste è scoprire, tra il serio e il faceto, che per molti è il proprio lavoro ad avere quel carattere: una attività mai desiderata, per la quale magari non si nutre alcuna simpatia né attitudine, ma che a un certo punto, per la sua salvifica routinarietà, diventa àncora di salvezza e unico modo che realmente funziona per sentirsi vivi.
A questa situazione molto diffusa fa da contraltare la tendenza di alcuni, palesata sin dalla gioventù, a fissare l’attenzione su particolari occupazioni (ovvero attività che “occupano”. Cosa? La mente di sicuro, quindi il tempo).
Simili attitudini hanno rivelato la genialità di alcuni, le storie personali dei quali riempiono i nostri libri scolastici, e molto più di frequente l’estrema dedizione e la determinazione di tantissimi che invece si sono semplicemente distinti in nobili attività con il risultato comunque positivo di aver reso ottimi servigi alla comunità.
Forse dovremmo sentirci debitori nei confronti di certi genitori, insegnanti, tutori, …, i quali, in assenza di una particolare predisposizione di alcuni ragazzi a notarla, gli hanno fatto comunque sentire la brevità e l’asfitticità di quel periodo assediato tra i due nulla epicurei: quello che precede la nascita e quello che segue la morte.
Un’asfitticità cui segue, una volta scoperta, la necessità di dare un carattere affatto diverso alla vita, riempiendola con azioni che per monotonia possano risultare degne dell’altrettanto monotona staticità dei due nulla oltre i confini.
Se ciò fosse vero, ci sarebbe allora da chiedersi se, piuttosto che insistere sempre sull’importanza del relax e del vivere qualsiasi momento della vita fischiettando e infischiandosene di tutto – un insegnamento che in tantissime situazioni dimostra di avere un indubbio valore, ma sul quale, a mio parere, si pone troppo l’accento, esaltandolo a stile di vita sempre e comunque da preferire ad altri – non sia il caso di insegnare a chiunque, sin dalla tenera età, il plusvalore del tempo speso a curare un interesse particolare; un passatempo che possa aiutare a combattere il tempo. Come? Facendo, realizzando, ricercando, intestardendosi su un qualsiasi obiettivo non banale e in qualche misura utile.
L’utilità, infatti, credo sia la chiave di volta. Sì, perché è innegabile: oltre alla evidente nevrosi che si appropria dei protagonisti di quelle gag su whatsapp, se c’è qualcosa di davvero ridicolo è proprio la sconcertante ed evidente irrilevanza degli obiettivi che si dà chi, non sapendo a cosa votarsi per autotraghettarsi, inconsapevole, attraverso le lunghe ore della giornata, si impegna a fare cose del tutto improbabili.
Forse quello suggerito dai genitori o dalla scuola al ragazzo non sarà l’hobby o la professione che lo accompagnerà per tutta la vita, ma non importa: è l’attitudine a impegnarsi senza lesinare energie su un particolare obiettivo che credo abbia un immenso valore.
Impegnarsi rivela il costo dei tantissimi secondi che arrivano nei nostri limitati confini vitali dallo sconfinato serbatorio del tempo; secondi che passano e non tornano e che possono essere usati per scolpire nel tempo azioni e pensieri si spera non banali.
Il “Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli” credo andrebbe esaltato di più e fatto apprezzare non per la cupa stranezza di un giovane Alfieri dedito allo studio, ma per il valore salvifico che possiede l’esercizio della volontà. Quella stessa che faceva dire ad Einstein: “Non è che io sia così intelligente, è solo che sto più a lungo su un problema”.
Non si tratta certo di regalare ansie e angoscie a chichessia. Si tratta solo di far scoprire a chiunque modi più validi di trascorrere periodi come questo che possono rivelarsi estremamente noiosi o estremamente affascinanti e ricchi di occasioni. Un insegnamento che, se impartito bene, potrebbe svelare l’esistenza di un numero molto più elevato di ottimi professionisti e, perché no?, anche di geni.
Servirebbe di sicuro ad eliminare il terrore di non sapere come fare per “ammazzare il tempo”, pur sapendo che, alla fine, qualsiasi cosa (non) si faccia, sarà lui ad ammazzare noi.
SZ