ELOGIO DELL’OMBRA
Abito al piano terra di una piccola palazzina e un lato di casa mia dà direttamente sulla strada.
A causa di questa posizione per molti versi infelice, tengo le tende chiuse così da evitare che chi passa a piedi possa dare occhiate, intenzionali o distratte che siano, dentro casa.
Si tratta di tende azzurre – una delle tinte preferite da mia madre, che le ha scelte – non così spesse, e che per questo fanno filtrare la luce. E l’ombra.
Ombra che da tempo identifico come la frazione più indiscreta delle persone: in una giornata di sole come questa, quando i muri, tende di pietra, costringono fuori chi passa e le tende di stoffa prevengono i suoi sguardi, lei entra, addirittura; e, dispettosa, si fa un giro veloce sulle pareti che si oppongono alle due finestre.
Non posso così fare a meno di notare che, contravvenendo alle raccomandazioni diramate su giornali, televisioni, radio, web, … di gente tutto sommato ne passa tanta. Troppa, direi, data la situazione.
Mi sa che da queste parti vi è ancora un po’ troppo buonsenso… (mi piace ‘sta frase: suona alquanto assurda!).
Sono qui, autorecluso nei miei pochi metri quadri e per me la realtà esterna, gli altri da me, sono queste ombre indistinte, ogni tanto vocianti – per il tempo che prende tranistare a piedi davanti alle mie due finestre, capto pezzi beckettiani di discorsi urlati nei cellulari -, a volte silenziose.
Devo comunque riconoscerlo: hanno tutte il pregio – in altri periodi non lo avrei certo definito così… – di spiegarmi a modo loro che non sono rimasto solo.
Per comprendere appieno di non essere l’ultimo, sbagliato esemplare della nostra specie sulla Terra, alle volte accendo la radio o guardo un telegiornale, ma al fine di avere una percezione più esatta di cosa sia il mio prossimo, trovo sia meglio operare una somma ideale tra le ombre indistinte e spesso vocianti che passano, le voci della radio e le immagini bidimensionali che trovo sul web e in televisione.
Allora la mente va veloce al mito della caverna di Platone: le ombre che entrano nel mio antro, quelle macchie buie e indistinte in movimento dietro le tende o quelle colorate e dai contorni decisi generate elettronicamente sui monitor, altro non sono se non il riflesso di un mondo che mi regala l’illusione di esserci dentro, di essere qui (le ombre lo dimostrano), ma anche ovunque (il web me lo garantisce); l’illusione di esperirlo, di conoscerlo.
Allora, sospettoso, per sfuggire all’abbaglio,
mi abbandono alla sola conoscenza del sé
e, per stare più desto, capirmi meglio,
corro in cucina e mi faccio un caffé…
SZ
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