Astronomia è guardarsi attorno

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Direi Astronomi-cecchini quelli che il 17 Ottobre scorso sono riusciti a mirare con uno strano fucile un punto in cielo molto particolare: quello che ospita il satellite GAIA.

Il fucile è in realtà il telescopio da un metro e mezzo di diametro posizionato a Loiano, sull’Appennino tra Bologna e Firenze. Un’arma strana che, piuttosto che sparare proiettili per colpire e poi catturare qualcosa o peggio, qualcuno, ne riceve di innocui e li fa propri senza ferire nessuno.

I proiettili ricevuti sono innocui fotoni nel visibile e i cecchini sono l’Astronomo Alberto Buzzoni, il Tecnologo Italo Foppiani e il Tecnico Roberto Gualandi, tutti in forze presso l’INAF-Osservatorio Astronomico di Bologna. Anche se magari non lo crediamo possibile, in barba a presbiopia e miopia, problemi che affliggono almeno due di loro, i tre hanno centrato nel campo del telescopio il satellite GAIA, un puntino nero tra le stelle posto a un milione e mezzo di chilometri da noi.

La preda catturata da Buzzoni & Co. è quindi un satellite che orbita attorno al punto lagrangiano L2, un punto che cambia posizione nello spazio mantenendosi però fermo rispetto al sistema Terra-Sole.

Visitati per la prima volta nel 1722 dalla fantasia matematica dell’italo-francese Joseph Louis de Lagrange, luoghi come L2 sono particolari soluzioni del classico problema dei tre corpi – soluzioni che identificano cinque punti di equilibrio del sistema fisico – nel caso  speciale in cui uno dei tre abbia una massa di molto minore rispetto a quella di ognuno degli altri due.

Punti-Lagrangiani

Se i tre corpi sono il  Sole (massa pari a circa dieci alla trentatré grammi), la Terra (massa dell’ordine di dieci alla 27 grammi) e un satellite delle dimensioni di GAIA (ha una massa di due per dieci alla sei grammi), allora rientriamo perfettamente nella situazione appena descritta. Uno di questi cinque punti di equilibrio, quello che si indica con L1, è situato tra il Sole e la Terra, lungo la congiungente i centri della stella e del pianeta. Lì vi abbiamo posto da tempo SOHO, un altro satellite che osserva stabilmente il nostro astro.

Sempre lungo la retta congiungente i centri di Sole e Terra vi sono altri due punti di equilibrio. L2 giace oltre l’orbita terrestre, mentre L3, rispetto al Sole, sta dalla parte opposta alla posizione del nostro pianeta.

L’aspetto davvero affascinante dell’esistenza dei punti lagrangiani come L2 è che porre lì un ferro da stiro, un’automobile, mia zia o il satellite GAIA, equivale ad aver creato un nuovo, minuscolo pianeta del Sistema Solare che, pur orbitando attorno al Sole descrivendo un giro più ampio di quello tracciato dalla Terra, mantiene lo stesso nostro periodo di rivoluzione.

In pratica, un anno su GAIA equivale a un anno sulla Terra e questo in barba alla terza legge di Keplero che per luoghi via via più distanti dal Sole, prevederebbe tempi di rivoluzione più lunghi.

Ma a quale scopo quel satellite è stato messo lì? Una cosa è certa: così lontano da noi, di sicuro non servirà ad aiutare le telecomunicazioni o a gestire la rete di GPS.

La ragione per sfruttare un punto del genere è che lì ci si trova sul limitare della sfera di influenza gravitazionale della Terra (sfera di Hill), laddove basterebbe uno starnuto per far finire mia zia nella “giurisdizione gravitazionale” esclusiva del Sole o in quella della Terra, interrompendo bruscamente questa magia di gestione cooperativa tra la nostra stella e il nostro pianeta.

Avere quindi la possibilità di sincronizzare il satellite con i nostri movimenti, ci rende molto più facile il compito di controllarlo a distanza e, soprattutto, di riceverne i dati che gli abbiamo chiesto di raccogliere.

Quali dati? Beh, è arrivato il momento di svelare l’arcano: GAIA è un telescopio progettato per catturare la luce proveniente dalle stelle del nostro vicinato così da registrarne vari parametri, in primis la posizione.

La sua esistenza testimonia uno sforzo antichissimo: quello di catalogare la realtà con l’obiettivo di farci un’idea quanto più precisa possibile di come essa sia fatta. Da quell’eremo spaziale, GAIA attuerà un censimento delle stelle della galassia. Un obiettivo titanico perseguito da un consorzio internazionale che vede anche la partecipazione italiana e, in particolare, del gruppo dell’INAF bolognese.

Il padellone da dieci metri visibile nelle immagini che trovate in rete non è uno specchio, bensì una protezione contro i raggi solari che disturberebbero le osservazioni. Detto in soldoni, il satellite ha un lato interamente illuminato dal Sole, mentre dall’altra è del tutto al buio. Dieci metri di diametro del suo sombrero servono a creare sul lato in ombra una notte fittizia, scura e fredda, o, se preferite, una fase costante del pianetino GAIA.

Il Sole è ancora capace di inviare tantissima luce in quella zona: a ben vedere, stiamo parlando di un punto nello spazio lontano solo un milione e mezzo di chilometri da noi che ne distiamo quasi centocinquanta dalla nostra stella. Il telescopio di GAIA, quello responsabile del censimento, è quindi posto sulla Dark Side of The Satellite.

Top-GunDue parole le merita anche il fucile-telescopio con il quale è stato possibile catturare l’immagine di GAIA tra le stelle. Considerando solo gli strumenti ottici presenti sul suolo nazionale, quello di Loiano usato per questa caccia grossa risulta essere al terzo posto per dimensioni. Viene dopo il telescopio Cherenkov – uno strumento un po’ particolare, che meriterebbe un articolo tutto per sé – da poco installato a Serra la Nave (CT) e forte di uno specchio con diametro di quattro metri, seguito da quello di Asiago (VI) da un metro e ottantadue centimetri di diametro.

Se invece di considerare solo quelli posti sullo stivale e isole nostrane, ci ricordiamo anche dei telescopi italiani residenti all’estero (dopo la fuga dei cervelli, la fuga degli specchi? Sì, fuga dall’incredibile e selvaggio inquinamento luminoso delle nostre città), quello di Loiano, dove per un anno e mezzo anche io ho lavorato come assistente notturno alle osservazioni, slitta in quarta posizione.

Prepotente, entra infatti in seconda il telescopio Galileo che, con i suoi tre metri e sessanta centimetri di diametro dello specchio principale, osserva dall’alto dell’isola La Palma, nelle Canarie.

Quindi, ricapitolando, il telescopio di Loiano ha spiato GAIA che a sua volta spia il cosmo.

Avere spiato GAIA significa che l’allegra compagnia bolognese ha centrato un oggetto di dieci metri di dimensione posto a un milione e mezzo di chilometri di distanza da noi, una posizione che fa assumere al satellite una magnitudine pari a 21, quindi debolissima.

Tutto questo è stato reso possibile grazie al sistema di Tracking Differenziale messo a punto dal gruppo bolognese di tecnologi al quale fa capo Foppiani, e alla perizia del tecnico Gualandi.

Per capire la reale valenza scientifica di un simile risultato, sbircio nella pagina web approntata da Buzzoni e scopro che:

“La rilevazione di Gaia segna un punto importante per il nostro telescopio, dal momento che le difficoltà incontrate da ESA nel calcolo della luminosità attesa per il satellite, (diverse magnitudini più debole del previsto, una volta operativo in orbita), si sono dimostrate critiche per il contributo della rete di telescopi ottici a Terra alle operazioni di “station keeping” della nave. Questa “marcia in più” apre la via anche a tutti quei nuovi progetti osservativi (“di nicchia” ma potenzialmente molto competitivi) che riguardano lo studio (soprattutto spettroscopico e polarimetrico) dei NEO e dei PHO (“Potentially Hazardous Objects”, asteroidi e comete in flyby ravvicinato alla Terra). Sarà inoltre possibile utilizzare il telescopio per operazioni di validazione orbitale di satelliti artificiali (commerciali e scientifici) in orbita HEO e GEO terrestre e di caratterizzazione orbitale dei pericolosi “detriti spaziali” (space debris). Potrebbe attendersi, infine, un contributo competitivo del telescopio Cassini anche per il tracking delle future missioni di sonde in orbita perilunare e come supporto ottico al tracking delle manovre di gravity assist (entro circa 5 Milioni di km dalla Terra) delle prossime di missioni interplanetarie a Marte e oltre”.

E fa un po’ pensare il sapere che la big science, quella dei grandi progetti internazionali come GAIA e figlia di un nuovo sentire gigantico che impone gesti estremi come scagliare un telescopio a un milione e mezzo di chilometri da noi, offra occasioni per emozionarsi romanticamente. Lo fa con i mezzi tipici della little science, quella di un piccolo telescopio di classe due metri, posizionato sulla dorsale appenninica.

Da una parte vi è una moltitudine di persone che lavora a un immane progetto, quasi fosse il corrispettivo umano di un immenso corallo. Ognuna di loro è responsabile di una piccola frazione del progetto globale e ognuna di loro è intenta a lavorare vivendo in luoghi diversi del globo. I singoli ricercatori sono solo parzialmente a conoscenza di ciò che gli altri stanno facendo, ma sono comunque accomunati dalla visione scientifica di insieme e dall’emozione di far parte di una grande avventura umana e culturale.

Dall’altra vi sono tre persone che si conoscono da anni e che decidono di condividere una emozionante nottata di osservazione nella control room di un osservatorio. Diverse moka di caffè, probabilmente alcune pizze margherita, da asporto, e tante speranze individuali e collettive da raccontare l’indomani ad amici e comunità scientifica.

Da una parte, compiacimento wagneriano; dall’altro, composta gioia pascoliana.

Una nuova danza estremamente affascinante si svolge davanti ai nostri occhi, tra spinte necessarie e passioni vissute alla vecchia maniera. Mi sembra vengano reiterare dinamiche di più di un secolo fa e, a ballare questa danza, sono ancora romanticismo, positivismo, e una certa critica reciproca, biunivoca, a tratti decadente, che serpeggia tra due fazioni del mondo della ricerca.

Buzzoni, un astronomo molto sui generis (da giovane correva i 100 metri ed era un valente  pianista jazz…), intervistato, descrive così la sua gioia per il risultato ottenuto:

Da una vita me ne sto col naso all’in su a guardare le galassie lontane e le “astronavi” vicine e forse è a questo che devo la mia cervicale… Stavolta ho visto la preda direttamente nel suo nido, in cima all’Everest celeste.

Insomma, quando ci impegniamo, qui sulla Terra scopriamo di essere eredi dell’arte del celeste Orione, ma anche di aver fatto compiere una notevole evoluzione al concetto stesso di “caccia”. Diciamocelo pure, e con un certo vanto: i nostri fucili astronomici sono oramai le armi più precise in assoluto. Oltre tutto, sono le armi dalla gittata più lunga: esse sparano più lontano di quelli di qualsiasi altro cacciatore che imbracci una doppietta.

Mi correggo: i nostri fucili telescopici si fanno sparare da sempre più lontano, andando a catturare immagini della realtà che ci circonda anche laddove pochi sospettano che vi possa essere qualcosa a sparare fotoni.

Apprezzerei molto che il cacciare fosse sempre e solo questo, ovvero un’attività che non preveda più inutile spargimento di sangue per assumere definitivamente il significato di catturare immagini del mondo che ci circonda per meglio capirlo e classificarlo. Bello è sapere che già da tempo qualcuno vi si dedica – si pensi, ad esempio, agli amanti del bird-watching e di fotografia naturalistica in generale – e che per gli astronomi è sempre stato così, e così continuerà sempre a essere. Amen.

Per sapere come è fatto il mondo, bisogna girarlo. Sapendo però che il mondo gira anche senza il nostro aiuto, a noi non rimane da fare altro che guardarci bene attorno.

Ecco, se vogliamo, l’astronomia è proprio questo: guardarsi attorno, in un “attorno” sempre più ampio.

L’orizzonte di alcuni è dato da una beccaccia in volo. Uno scenario limitato nello spazio e nel tempo, che finisce con un “bang”.

Quello dei nostri amici bolognesi il 17 Ottobre passava da L2.

Loro, ma anche altri colleghi, di solito osservano molto, molto più lontano di L2, trovando un orizzonte finito, iniziato con un big bang e in continua espansione.

Chissà, un giorno magari beccheremo anche beccacce aliene e scopriremo che da qui sarà difficile colpirle in quanto protette dalla legge.

Si tratta di una legge fisica.

E, ve lo garantisco, a essa niente e nessuno sfugge.

SZ 

 

Sottofondo: ovviamente The Dark Side of the Moon, dei Pink Floyd

http://grooveshark.com/#!/album/The+Dark+Side+Of+The+Moon/9730519

 

Per saperne di più, consiglio i seguenti link:

Ma quant’è bella Gaia dai colli bolognesi

http://www.bo.astro.it/~eps/buz11401/Gaia.html

http://it.wikipedia.org/wiki/Cherenkov_Telescope_Array

http://it.wikipedia.org/wiki/Punti_di_Lagrange

 

 

 

 

 

3 pensieri su “Astronomia è guardarsi attorno

  1. Pingback: Gaia e lo Zoo: quando la scienza (ri)diventa possibile | GruppoLocale.it

    • Marco, sei tu? Se sì, ti ho riconosciuto da ciò che dici. Altrimenti si tratta di un autore a noi vicino… Tra l’altro, uno dei prossimi articoli di squidzoup sarà proprio sulla citizen science, un fenomeno che sto studiando in modo più approfondito da un paio di settimane. Grazie della segnalazione, chiunque tu sia! 🙂

  2. Pingback: Gaia e lo Zoo: quando la scienza (ri)diventa possibile | Omaggio alla Specola Vaticana - Tribute to the Vatican Observatory - Homenaje al Observatorio Vaticano

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