COSA (NON) È LA SCIENZA
Oggi, parlando al telefono con un amico, è venuto di nuovo fuori un concetto oramai trito e ritrito col quale si attaccano le azioni di questo governo: a detta sua, e di tanti altri in giro per lo stivale, Conte & Co. sono colpevoli di una certa intermittenza nelle decisioni e nelle indicazioni prese per tentare di contrastare la pandemia.
Lo ribadisco subito perché, prima di passare al suo sviluppo, tengo a mettere in chiaro il valore delle costanti del problema: di sicuro non sono e non sarò mai un sostenitore di esecutivi con quei colori così sbiaditi, almeno nelle parti dello spettro in cui preferirei vedere tinte decise.
Detto questo, trovo che la richiesta di indicazioni certe e non contraddittorie circa il da farsi siano l’espressione di una paura di certo condivisibile, anzi, condivisa anche da me: ovvio che tutti preferiremmo sapere esattamente cosa fare per bloccare la diffusione di un virus così subdolo e ancora sconosciuto, ma pare proprio non sia possibile al momento ricevere indicazioni precise e rassicuranti.
Credo che, se ce le potessero dare, lo farebbero. C’è solo un altro caso in cui ce le fornirebbero senza farci tribolare troppo: parlo dello scenario tanto temuto dai complottisti i quali non si rendono conto che, se davvero ci fosse un piano così ben strutturato come immaginano, l’unico modo di farlo funzionare sarebbe ostentare una sicumera tale da spingerci tutti a fare qualcosa che alla lunga si rivelerebbe svantaggioso per la maggior parte di noi.
L’implicita ammissione di impotenza manifestata con decreti ondivaghi, un po’ cerchiobottisti, capaci di scatenare l’ilarità e tanto sano umorismo sui social, credo sia l’espressione di una crisi profonda della politica. Nel tentativo di non scontentare troppo l’italiano medio, l’esecutivo prova a coniugare questa esigenza col parere dei cosiddetti esperti.
Questi ultimi, dal canto loro, scoprono che la loro esperienza sta evolvendo proprio in questi giorni e proprio grazie a ciò che osservano nel comportamento del COVID 19: un vero, ulteriore tirocinio che rischia di dover essere rinnovato ogniqualvota apparirà sulla scena un virus del tutto sconosciuto.
Ciò che sto cercando di dire è che, non essendomi formato in nessuna scuola di politica, trovo provvidenziali le emissioni scoordinate del governo – fanno quasi tenerezza – che suggerisco di riguardare come un ottimo modo di tastare il polso per controllarne lo stato di salute.
Vera e propria scatola nera per noi che riceviamo simili messaggi convulsi attraverso i giornali, amplificatori di rumori polarizzati piuttosto che reali veicoli di vera informazione (sul concetto di vera informazione, poi, potremmo soffermarci un bel po’…), non possiamo sapere lungo quali fili, attraverso quali resistenze e in quali condensatori si creano le correnti che registriamo con i nostri amperometri personali.
Avere la possibilità di osservare quelle oscillazioni di corrente politica così macroscopiche mi sembra dunque un dato da leggere come indizio positivo: la politica sta seguendo la scienza.
Lo so, sembra proprio che oggi a pranzo io abbia esagerato col vino, e non è detto che non sia vero, ma cercherò di spiegare ciò che intendo, tentando di convincervi che gli effetti dell’alcool siano oramai sfumati.
Sentendo e leggendo le obiezioni dei miei amici e conoscenti i quali condannano pure un analogo imbarazzo in ciò che dicono i ricercatori dell’Istituto Superiore della Sanità e i virologi della Protezione Civile (senza capire che vi è correlazione tra decisioni del governo e pareri degli esperti), mi sembra evidente l’estrema diffusione di una idea totalmente errata di scienza.
La si immagina, perché la si vorrebbe così, come quella cosa che non ha tentennamenti, capace di fornire sempre notizie certe e definitive. Se qualcosa non presenta queste due caratteristice, allora nell’opinione pubblica non è scienza.
Ho come il sospetto che una simile visione alberghi nella società da tanto tempo, e che solo in alcuni casi estremi come quello che stiamo vivendo, abbia la possibilità di manifestarsi.
Figlia, credo, di un certo modo di proporre a scuola materie come matematica, fisica, chimica, biologia, geografia astronomica, … che prescinde dall’insegnamento della storia delle idee scientifiche lasciata al buon cuore dei docenti più avveduti e preparati di filosofia, porta a recepirle come elenco delle facili vittorie dell’intelligenza umana sulla Natura.
Se ho ragione, ogni singola formula, ogni singolo passaggio di un testo scientifico potrebbe essere percepito come il frutto di episodici lampi di genio che hanno portato persone baciate dalla fortuna epistemica a vergare quelle relazioni così impeccabili quasi in preda a una ispiratissima scrittura automatica guidata dal demone della conoscenza.
Una ipotesi, questa, che dovrebbe forse spingerci a correre ai ripari al più presto, mandando tutti i docenti di materie scientifiche a scuola di filosofia della scienza per metterli in grado di spiegare ai ragazzi, una volta per tutte, non solo cosa sia davvero il metodo scientifico, ma cosa davvero sia la pratica scientifica e, in definitiva, la scienza.
Mi aspetto che, se un giorno tutto ciò verrà fatto sul serio, lo scopriremo ancora una volta in modo indiretto, osservando come finalmente nessuno si sorprenderà più dell’indecisione dei ricercatori di fronte a un problema nuovo che in tempi di scienza normale – quindi non certo quella al momento all’opera, drogata com’è di fretta e timori – prima di giungere a risultati comunicabili al pubblico pretenderebbero anni di esperimenti e fallimenti.
Le indecisioni manifestate dal nostro governo le ritengo, per questo, espressione di un suo continuo interfacciarsi con ciò che gli esperti dicono. E ciò che gli esperti dicono è una serie di affermazioni con validità statistica al momento bassa: più passa il tempo e più siamo garantiti dalla possibilità che chi lavora su certe tematiche abbia avuto il tempo di osservare un’ampia casistica, di formulare ipotesi, di rivederle e rimodularle tante volte. Un processo da reiterare fintanto che non si è giunti all’optimum: qualcosa che si può ottenere solo con una notevole ridondanza di conferme.
Per quanto fin qui detto, in una fase come quella odierna ancora vicinissima all’esplosione dell’epidemia, affermazioni perentorie, mai contraddittorie, granitiche, credo andrebbero piuttosto connesse con la volontà di un esecutivo fascistoide – e non è un caso se le uniche certezze strombazzate sui media ci arrivano proprio da quella fazione – o, in alternativa, con la visione di un pazzo despota, circondato da lacché senza opinione e capacità di contraddittorio.
In conclusione, credo di poter dire che questo governo di Schrödinger sta bene almeno al 50% e che, attendendo un tempo ragionevole, avremo modo di guardare dentro la scatola per vedere se è del tutto morto o se gode di ottima salute.
Allora per il momento mi godo la certezza che le cose potrebbero andare sì meglio, ma solo per quanto riguarda il funzionamento delle strutture sanitarie – ne approfitto per condannare decenni di picconate date alla ricerca e al Servizio Sanitario Nazionale: se i governi passati lo avessero reso forte come avrebbe dovuto essere, oggi non avremmo certo avvertito questo terrore di ammalarci .
La paura di fare passi falsi che dimostra Palazzo Chigi sta rivelando la sana fragilità di chi procede nel buio seguendo passo passo l’incedere titubante di chi cammina davanti a tutti reggendo solo una candela.
In un momento in cui nessuno può averlo, lascio quindi volentieri le certezze a maghi, fattucchiere, astrologi e dittatori.
Viva l’onesta incertezza!
SZ