Spettroscopia del mio buio

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Per la prima volta dopo chissà quanto tempo, mi sono ritrovato a scrivere una lettera a una persona cara.

Quando dico “una lettera”, intendo dire proprio una lettera.

E quando dico “scrivere”, so che è difficile a credersi, ma intendo proprio quel gesto che fino a qualche tempo fa significava solo una cosa: trovare un foglio bianco o accettabilmente pulito, trovare “una penna che scrive” e prepararsi a combattere con una attività che non ammette correzioni, ripensamenti.

Il prezzo da pagare per essi è l’illegibilità, la bruttezza entropica che si manifesta con cancellature e aggiunte “fra le righe”, frecce che corrono tra parole, numeri a bordo pagina, sopra o sotto il testo; e ancora, testi scritti di sbieco o poggiando su “V” stilizzate che incuneano parole e pensieri tra altri altrimenti ritenuti incompleti.

A un certo punto, la scelta è d’obbligo: considerare ciò che si è scritto come “brutta” e trovare un altro foglio sul quale fare una “bella”. Nella nostra realtà fino a qualche anno fa, non esistevano memorie riscrivibili. Si riscriveva, certo, ma utilizzando fogli diversi che non cancellavano i precedenti orrori. Quelli rimanevano liberi di accumularsi in pile di ripensamenti, lordure, brutture inenarrabili e spesso inconfessabili.

Da un certo punto di vista, sarei tentato di dire che, piuttosto che di errori, si riempiva il mondo di verità. Forse scomode, spessissimo inutili, ma pur sempre verità.

Oggi la mia “brutta”, leggermente più vera della “bella” ha sortito subito l’effetto di fami chiedere: ma quando è iniziato tutto questo? Quando è stato che ho perso confidenza con la mia “brutta copia”? Nel chiedermelo, so anche di essere particolarmente cattivo e irriconoscente verso me stesso. Sì, perché sono sicuro che tanti come me affidano ancora moltissimi loro pensieri a diari, block-notes, agende personali nate per “non essere lette da altri all’infuori di me”.

Questo primo comandamento serve a tutelare proprio la verità inalienabile di molti di noi che non rinunciano alla pagina bianca, meglio se giallina; alla penna nera; al pensiero incasinato ma che, se riletto dopo dieci anni, riesce a far vibrare chi è nato in anni del secolo scorso che gli anno insegnato ad apprezzare ancora, forse troppo, tradizioni millenarie di pensiero affidato alla carta e non a file.

Ora sono terrorizzato all’idea che qualcuno possa rovistare dentro di me attraverso l’account dimenticato aperto sul terminale pubblico di quel foglio. Su di esso, indelebile, giace la mia calligrafia. Su di esso ho spalmato segreti che non conosco.

pochi percentili di informazione sono registrati sottoforma di periodi che, se fossero digitali, come sempre accade ai miei post in questo blog, correggerei migliaia di volte prima e soprattutto dopo la loro pubblicazione.

La maggior parte della mia Dark Mental Matter e della mia Dark Mental Energy è invece racchiusa lì, proprio tra quelle linee che da tanto, da troppo, non chiedono più di essere intellegibili per altri utenti diversi da me.

in quella pagina ci sono io, proprio io!, con ciò che sarei in potenza; con le mie “g” spesso storte e indecise, con le mie “i” sottintese, con le mie “d” che sembrano “l” e con altre lettere alle quali, chissà perché solo a loro, ho affidato il compito in anni antichi di farmi sembrare un tipo anche elegante; capace di apprezzare pure il fronzolo oltre l’ostentata poca attenzione per ciò che il mio conscio ha scelto di considerare suprefluo.

La mia capacità di analizzarmi si ferma qui, ma immagino che, chi sa farlo, potrebbe indagare molto più a fondo nel mio pozzo nero alla ricerca di ciò che accetto che esista senza doverlo per forza censire.

Allora mi avvalgo del diritto ad avere un sommerso e a non volerlo conoscere e curo in due modi il mio timore di essere sorpreso con le mani nella marmellata da un esperto. Il primo è chiedermi: chi vorrebbe mai sapere cosa accidenti io sia nel profondo? Cui prodest?

Il secondo è andare con la memoria a epistolari di personaggi già famosi. La pubblicazione di quei documenti ha fruttato loro un surplus di gradimento da parte del pubblico, piuttosto che un imbarazzo per tutta le sconcertanti verità che il dispositivo carta + inchiostro trattiene così bene.

Di sicuro, orde di grafologi avranno esaminato quelle pagine alla ricerca di chissà quale scoop, ma alla fine si scopre che di quei semidei nessuno vuole realmente conoscere i difetti: essi fanno notizia per un giorno o due, mentre i loro pensieri belli, quelli che li hanno resi famosi, sono notizia per sempre.

Mi rendo conto solo in momenti come questi di tenere sempre un atteggiamento medio tra un me che forse non verrebbe né capito, né apprezzato e un lui, quel lui che gli altri conoscono, leggono e incontrano. Nonostante ciò che mi piace pensare di me, scopro di essere un inquadrato, uno che è sceso a compromessi enormi e che ha imparato a vivere lasciando tonnellate del più autentico in quella casa senza luci che non consente altri inquilini, nemmeno Angelo, oltre il noumeno di Angelo.

Ne deduco che di solito mi faccio misurare dagli altri solo dopo aver automaticamente eliminato il mio rumore (chissà se lo faccio bene! É un’operazione fatta dal sistema non riprogrammabile, in quella scatola strabordante di gatti vivi e morti). Scelgo di farmi misurare solo dopo aver normalizzato – mai termine tecnico è stato più appropriato! – il mio segnale mondandolo del mio io più grezzo, ma anche più vero. Quello che darebbe luogo a emissioni scomposte e indecifrabili.

Ogni giorno, una simile operazione viene attuata da sette miliardi di persone con un risultato netto pari a una enorme perdita di informazione. É di sicuro un bene, anche se non posso fare a meno di pensare che nel processo di pulizia del sistema, molti cookies di bella umanità vadano perduti per sempre.

Fuori da me, specie quando scrivo, arriva un segnale che non presenta particolari righe di assorbimento o di emissione e lo spettro del mio essere è affidato solo ai concetti che esprimo con la scrittura, con l’aggiunta dei miei disegni.

La scrittura a mano chiede, come la nostra faccia, il nostro corpo, i nostri gesti, di essere accettata o rigettata. Va a colpire con forza il gusto di chi potrebbe leggerci e questo, come il nostro aspetto fisico e il nostro comportamento, genera la scelta di frequentarci o meno.

Scrivere col computer equivale a fare la plastica alla nostra cacografia per renderla calligrafia. Equivale a usare il botulino, le diete a zona e il fitness per curare la linea di lettere e numeri.

Immagino che tutti considerino più vere le linee tracciate per rappresentare il mondo piuttosto che per disegnare le lettere dell’alfabeto. Pur esistendo anche per quelle linee pittoriche una serie di regole dette e non dette che, come per le lettere, ne condizionano l’aspetto, le linee disegnate sembrano sempre essere bagnate, intrise di quegli umori che allontanerebbero tutti se venissero espressi a parole.

Se ho ragione, questo distinguo forse ha a che fare col concetto di “arte” che rende tutto più accettabile. Un concetto che, a scuola come nella vita, si impara presto ad associare alla pittura e alla scultura, ma che la stessa scuola fatica a spiegare che può essere cercato anche nella letteratura.

E poi, se praticamente nessuno scrive più a mano, mi viene difficile immaginare qualcuno che ancora tracci “pascarièddi” su un foglio durante una telefonata. Il disegno a mano sopravvive di sicuro negli ambienti degli artisti, ma anche lì va trasformandosi a causa dell’introduzione delle tavolette grafiche.

Per finire, tornando alla scrittura, si scopre che capirsi (sia in senso riflessivo che tra persone diverse) scrivendo, vuol dire rinunciare a tanto di sé. Paradossalmente, capirsi significa in buona parte ignorarsi.

In astronomia, per semplificare alcuni calcoli si usa parlare di “Sole Medio”.

Lui non lo sa, ma illumina un “mondo medio”. Quello che, salvandolo da una divertente follia con un algoritmo di selezione inconsapevole e automatico, tutti quotidianamente costruiamo.

 

SZ (in corsivo per farlo sembrare più vero)

Sottofondo: sono in treno diretto a Como, ergo sto ascoltando lo sferragliare di questo regionale e le banalità urlate al cellulare della signora qui davanti.

Del primo rumore, Cage avrebbe cose interessanti da dire. Del secondo, avrei cose poco interessanti da dire. E poi avrei anche da ridire.

8 pensieri su “Spettroscopia del mio buio

  1. Che bella lettera anche questa il tuo bello e che mi piace e che riesci sempre a scrivere e nello stesso tempo a trasmettere armonie incredibili con una semplicità unica .
    . Sai a me capita a volte di trovarmi con un fogliettino in mano sul tavolo una biro qualsiasi e cominciare a riscrivere come facevo da bambino le lettere dell alfabeto in corsivo con tanto di virgole per la o o bastoncini che tengono la c in piedi , mi è sempre pensato di vederla così e mi piace . una sensazione,una voglia di tornare indietro nel tempo ??’ non lo so ma mi piace
    ciao Angelo a presto

  2. Gran bella riflessione, molto interessante, Angelo (posso darti del tu?).
    Ora però mi hai messo in crisi, le lettere di auguri per le feste, le devo scrivere con l’inchiostro “vero” o con quello “fittizio”? 😀
    Buone feste!

    • Ciao!
      Grazie!
      Se puoi darmi del “tu”?’??
      Devi!!!
      Per il resto, per scrivere le lettere di Natale prova a usare una via di mezzo: l’inchiostro simpatico! 😀
      Mi raccomando, torna a trovarmi!
      SZ

  3. E di cosa vivranno i periti calligrafi? Un’altro lavoro in disuso.
    Da quando uso la calligrafia del computer, ho sempre avuto paura di non saper più scrivere; infatti scrivo come una galliana e a volte nessuno, compreso me capisce.
    Eppure mi piace!!! Ho deciso di allenarmi e di fare un corso on-line di calligrafia, per non farla morire anche se è solo la mia.
    Scusa sai………………… ma anche Steve Jobs ha preferito fare un corso di calligrafia piuttosto che l’università!!!
    Di quante cose questo mondo vuole fare a meno!!!!! Io non ci sto, mi piace il nuovo e il progresso tecnologico, ma ci sono cose che non devono andare perdute!!!!
    Se ti va possiamo parlarne. Magari cominciamo a fare anche solo un noiosissimo elenco.
    Anche le stelle e i pianeti si conoscono sempre di più, ma nessuno pensa di studiare solo quelli più giovani!!!!!

    • Ciao! Benvenuta in questa Zoùppa! Daniela, avrei anche io una bella lista di cose da salvare, ma sono altresì certo che non si possa fermare un processo di cambiamento come quello in corso. Romanticamente, tu e io lotteremo, ma temo sarà del tutto inutile.
      Il cambiamento, invece, rivelerà tutta la sua utilità, ma mi sa che noi, se ci saremo, non la capiremo. A presto! Spero di rileggere tuoi commenti in futuro! 🙂

      • Io intendevo in questo senso:
        Romanticismo
        .
        Io non voglio fermare nulla anzi!!! Vorrei solo salvare delle cose.
        Il greco e il latino li abbiamo ereditati nella nostra lingua.
        Il Romanico
        significato di libera rinascita delle forme dell’arte romana
        nascita della lingua romanza
        Riproposta di un’architettura antica, ma anche la nascita di una nuova lingua e nuovo fervore culturale.
        Sottolineo “spirito costruttivo” “rinascita” ma sostituirei “contro” con “insieme”
        Ora basta sto diventando noiosa, next time!!

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