Ogni tanto, specie quando non posso proprio ritenermi esperto di ciò di cui desidero parlare (come è intuibile, capita molto, molto di rado…), trovo utile condurre una gedanken INKiesta per capire cosa ne sanno di un qualche argomento i miei compagni di viaggio imbarcati su questa immensa astronave Terra.
La prima volta è capitato col Bosone di Higgs (vedi “IL COSONE DI HIGGS”), oggi invece parleremo di FUSIONE FREDDA.
Non ne parlerò tentando di spiegarla perché, nel tentativo di farlo dopo aver studiato ciò che la rete mi racconta dell’argomento, non vi renderei un gran servizio. Meglio sarebbe se a farlo fosse qualcuno che, oltre a conoscere bene la materia, sia anche in grado di comunicarla al prossimo.
Ciò che invece mi preme fare in questo caso è improvvisarmi fisico come chiunque altro che legga sui giornali delle ultime verifiche cui la fusione fredda è stata sottoposta.
La storia di questa idea è oramai lunga: iniziata nel 1989 con l’annuncio della scoperta da parte di Fleischmann e Pons – annuncio rivelatosi decisamente prematuro – l’argomento fusione fredda ha conosciuto picchi di notorietà e valli di oblio fino a che poco tempo fa l’ingengere bolognese Andrea Rossi si è deciso a venire allo scoperto rivelando di averla ottenuta tramite un apparecchio di cui però non ha mai rivelato fino in fondo il funzionamento.
Il processo autocorrettivo della scienza esige di sottoporre sempre le nuove idee al vaglio di commissioni di esperti che tentino di riprodurre i risultati annunciati per ratificarne la correttezza – in pratica, un controllo qualità – e questo di solito viene accettato pacificamente da tutta la comunità scientifica. Dico di solito perché fino a poco tempo fa la maggior parte delle scoperte in campo fisico impiegavano un certo tempo a trovare una traduzione tecnologica vantaggiosa in termini anche economici.
Nel caso della fusione fredda, moderno Sacro Graal che, se fosse un processo fisico reale, potrebbe rappresentare la soluzione definitiva a problemi energetici alla base delle profonde disparità tra nord e sud del mondo, rivelare urbi et orbi i dettagli del processo prima di aver ottenuto un brevetto che tuteli gli scopritori, significherebbe per loro la gloria scientifica ma l’impossibilità di arricchirsi. Insomma, temo che al di là della questione squisitamente fisico-tecnologica, la fusione fredda ne sveli un altro tutto moderno di interazione scienza società. Se le cose stanno così, la domanda credo sorga spontanea: vi sembra giusto?
Ma ecco una carrellata di idee che serpeggiano nella gedanken società:
Come dicevo, credo che la sociologia della scienza entri in gioco non appena ci si sposta dallo specifico campo nel quale siamo o crediamo di essere ferrati. In pratica, essa interviene subito e, anche nel migliore dei casi in cui ci troviamo ad avere a portata di mano un cosiddetto “esperto”, i processi che ci portano a credergli o a dubitare di lui hanno a che fare sempre e soltanto con la sociologia: lo conosciamo da tempo e quindi ci fidiamo di lui; lo conosciamo da tempo e quindi non ci fidiamo di lui; crediamo alla teoria per averla sentito da altri di cui ci fidiamo; sappiamo che si sa di lui che è/non è una fonte attendibile; ha un suo seguito; il suo aspetto e il suo modo di fare ci ricorda persone di cui ci fidiamo/non ci fidiamo; è riconosciuto a livello italiano/mondiale/cosmico; è stato intervistato in televisione; …
Ma, in fondo, cos’è un esperto?
Citando una celebre definizione dovuta a Weber, rinvenibile nella sezione “Espertologia”, appendice dell’infallibile Legge di Murphy, troviamo che è una persona che sa sempre di più su sempre di meno, fino a sapere tutto di nulla.
Ci sarà da fidarsi di costui?
A rendere ancora più spinoso il problema sollevato da Weber, ne sorgono altri, non ultimo quello – a dire il vero, abbastanza curioso – svelatomi dalla mia amica Antonella del Rosso (effervescienza.it) che lavora al CERN di Ginevra: quando viene pubblicato un articolo su di una ricerca davvero all’avanguardia, accade che i firmatari siano i più grandi esperti al mondo di quell’ambito (= di quel nulla?). Se essi sono tutti lì, chi può attuare quel famoso processo di verifica della veridicità dei risultati che va sotto il nome di peer review? A meno di creare un corto circuito che a tutti ricorda da vicino il “conflitto di interessi” (un concetto al quale noi italiani siamo oramai avvezzi per altri motivi di sicuro più prosaici), non vi è nessuna possibilità che la “scienza normale” possa giudicare in modo corretto i risultati di una scienza che, nel tentativo di spostare in avanti i paletti dello scibile, si ponga come “rivoluzionaria”.
Prima ancora che scientifico, il caso della fusione fredda mi sembra essere quindi un fatto di cronaca da tenere sotto controllo: se, come credo, ha davvero a che fare con la sfera giuridico-economica, vuol dire che siamo arrivati a un punto di svolta nella storia dei rapporti tra scienza e società.
Questo potrebbe essere un momento storico in cui, in assenza di una seria regolamentazione, nei centri di ricerca che contano in quanto a prossimità col tessuto sociale e rilevanza del cosiddetto spin-off (industria farmaceutica, alimentare, tecnologica, …) si potrebbe essere costretti a condurre per tempi lunghissimi una esistenza convenientemente “normale”: una ricerca soft caratterizzata da un rate costante di pubblicazione di articoli tale da rendere finanziabile l’attività senza però generare le fiammate tipiche di una attività che osa e che, nel farlo, potrebbe sì condurre alla ricchezza, ma rischiando al contempo la gogna mediatica.
Pensieri conFUSI, complice il caldo di un Luglio arroventato
http://www.sherwood.it/articolo/3300/deproducers-il-planetario-live
angelo angelo…..
giovane! oggi ho incontrato max casacci dei subsonica che è parte integrante e pensate del progetto di cui sopra, gli ho parlato del tuo progetto di fummetti, musica e astronomia… interessato, lo rivedo stasera per approfondire…. kaboomm